Questa sera ci sei solo tu in sala, e il maitre ti guarda spesso: e non potrebbe essere altrimenti. Dunque è più facile cogliere il brillìo d’orgoglio nei suoi occhi quando ti dice “Quel Bettelmatt è quello originale. Ne sono sicuro perchè l’ho portato giù io”. Stai gustando le sfumature di quei quattro formaggi compresi nella Degustazione grande: un caprino quasi liquido e assai intenso, un vaccino di lungo affinamento, il Bettelmatt, e un doveroso Zola 120 giorni. E’ l’unica portata che arriva su un’assiette di ardesia, mentre i piatti bianchi tondi sostengono le preparazioni di Matteo Vigotti con il chiaro disegno di esaltarne la forza espressiva.
La tensione estetizzante s’avverte fin dal cannicciato di sottilissimi grissini salati, dietro cui potresti nasconderti: si tratta però di una attenzione ai colori strumentale alla riuscita del piatto, che aggiunge forza comunicativa e tridimensionalità alle preparazioni.
Ti piacerà discutere di quei ravioli di cagliata di capra e pere con polvere di fieno di Trasquera, che è poi un posto lì vicino. Vorrai scoprire che quella colossale distanza tra il sapore salso e ferino del ripieno e le dolcissime pere è cercato, progettato e studiato, sarà interessante scoprire che è una traduzione delle abitudini locali, dice, di sapori potenti e rustici, spesso in contrapposizione.
Ti sentirai anche libero di dire che quelle schiumette, perbacco. Ma ti troverai ben più a tuo agio tra le pennellate di colori acrilici dell’immaginifica versione di vitello tonnato: smontato e ricostruito in piani sovrapposti, che si ricompongono nella memoria ad ogni boccone. Oppure quel vitello al giusto rosa con la salsa alle acciughe in contrasto alla patata viola: quasi una tela divisionista.
Funziona tutto chez Vigotti: c’è classe, c’è pratica, c’è creatività e c’è anche quel filo di consapevolezza dei propri mezzi che non guasta. C’è concretezza e uso, c’è forza e sostanza. C’è tutto.
Per cercare il motivo di quel nonsochè che attraversa di dubbi il dopocena, dovrai mettere in fila tutti gli ingredienti: un menù costoso, che a 100 euri ti senti di pretendere qualcosa; un dessert giocato attorno al melone in novembre, e per la verità colorato in volto ma spento nel cuore; una tardiva sensazione di “manca qualcosa”: che la crema di funghi della capasanta era troppo… cremosa, che i capellini con le seppie trovavano compimento solo con la scarpetta nel brodino; che quei ravioli proprio no; che la passata di ceci attorno alla spettacolare triglia era tanta… sciocchezze, appena sopra la soglia di percezione di un ficcanaso gurmè dalle solitarie abitudini.
Ma se t’incontrassi per strada e ti chiedessi com’è andata mi diresti probabilmente Tutto buonissimo, ma.
Novecento
Via Bonomi 13
Meina NO
0322669600
I Classici, 80 euri. Il Gusto del 900, 100 euroni tondi. Alla carta lì in mezzo.