L’italiano non è la lingua più diffusa del mondo, ma di certo una delle più belle da scrivere, da leggere, da parlare. Da usare, ed anche da abusare. Consente una serie di acrobazie che – ad esempio – non sono proprie dell’inglese: diretto, schietto, glabro. Poi noi italiano siamo buffi: da un lato violentiamo la nostra bella lingua svisandone il significato e la logica, dall’altro ci arrampichiamo sulle costruzioni lessicali come serpentelli in preda alle convulsioni. Diciamo “Convergenze parallele” e “Diversamente vedenti”. E diciamo sempre Diego Armando Maradona, perchè ci riempie la bocca come un gheriglio di noci intero, vuoi mettere. Ci lasciamo sommergere dai tic verbali adottando espressioni come “tesoretto” poi dimentichiamo l’uso basico dell’imperfetto. Oppure, noi che scriviamo di wi-fu, ci sentiamo in obbligo di dire “Scorticata di Torriana” per parlare del paradiso piccolo di Fausto e Stefania, che hanno fatto della loro casa quel luogo di delizie che è oggi il Povero Diavolo, ristorante con locanda.
Va bene, Scorticata era il nome vecchio, e Torriana è quello nuovo. C’è pure la rupe da cui pare il collerico – e bruttarello – Gianciotto Malatesta abbia gettato Francesca da Polenta, preda dell’adulterio più sconcio: con il fratello del marito Paolo. Eh, non si fa, lo disse anche l’Alighieri.
All’ombra della Rupe oggi lavora Piergiorgio Parini, che al termine del mio personale pranzo dell’anno ‘nove s’avanza verso il tavolo, con un piccolo sorriso e si gode l’entusiasmo che traspare dai commenti. “Sto diventando matto con le materie” dice. Poi spiega senza risparmiarsi: la spesa tutti i giorni lì attorno: un fornitore per i peperoni, uno per i pomodori, la vecchietta per la farina di mais, quell’altro per la farina di frumento. La riscossa dei pesci dimenticati, “pescati qui davanti”: muggine, ricciole quando capita. Si dilunga, coinvolto.
Dice ancora “Certo che faccio cucina romagnola. Sono romagnolo, uso prodotti romagnoli, siamo in romagna, faccio cucina romagnola, faccio”. Senza alcuna retorica del chilometro zero, senza reboanti proclami ed editti sulla purezza. Plain, simple, direbbero gli inglesi.
La sua è infatti una cucina di formidabile nitore, attraversata da folgori spesso dipinte con i colori del genio. Niente sinfonie e marce trionfali, ma confezioni pensate senza essere troppo architettate, ancora fresche di gioiosa spontaneità. La linearità è quella della china, in cui la tridimensionalità si ottiene con un sapiente tratteggio, con il talento e non con le scorciatoie.
Hai diversi percorsi, oltre alla scelta à la carte: il più intrigante è Tipico Terrestre: un sentiero con ampio panorama. Tutti memorabili i dieci piatti e dispari che arriveranno sul tuo tavolo: alcuni indimenticabili. T’acchiappa la perfezione mai prevedibile del muggine crudo con pesca, distillato di pomidoro e capperi canditi, un gioiello bardato di brillantini. L’arrosto di ricciola, un rompicapo ricomposto sull’ardesia in giochi d’incastro ineluttabili. Sorprende ancora la tagliatella con peperoni pancetta e polvere di caffè, un equilibrismo riservato a pochi. Un piccione in tre modi da mettere nella bacheca dei migliori mai assaggiati. Un predolce che vale un dessert è il gelato alle erbe con semifreddo al cioccolato bianco ed erbe fresche aromatiche, i realtà un dolce-dolce in controtendenza, ma trasferito sul piano cosmico dagli erbaggi e dalle insolite sfumature.
C’è molto altro al “Diavolo”: fosse solo la pasticceria servita in chiusura, pochi pezzi di classe adamantina. O i vini in carta e fuori carta, consigliati con voce ferma e cortese dal proprietario. O l’uso del perlagonio pelargonio, indubbiamente insolito: petali di geranio.
A pochi chilometri da tutto.
Il Povero Diavolo
Via Roma 30 – Torriana RN
0541675060
www.ristorantepoverodiavolo.com
Tipico Terrestre, degustazione di dieci (10) portate per 75 euri.
Altre proposte più contenute a disposizione, alla carta lì attorno