L’altra settimana ho consigliato un ristorante stellato al cliente della mia enoteca romana. Cliente stellato pure lui, non dalla guida Michelin, bensì da me, visto che in pochi mesi ha speso nel mio locale il necessario per pagarne l’affitto. Sui sessanta, estroso nel vestirsi, istrionico conversatore e seguace di una strana religione da lui stesso fondata, il cui principale comandamento recita: “L’uomo che vive senza impegnare le sue sostanze per conseguire del piacere è un essere abbietto”. Credo che la religione conti almeno due adepti, lui e un suo amico. Perfino la moglie è agnostica, per non dire scettica.
Sono circa 30 anni che questo mio cliente mangia tutti i giorni al ristorante, pranzo&cena, per questo conosce più o meno tutte le mangiatoie di livello del vecchio continente e come sono evolute nel tempo. Va da sé che consigliare un locale a uno così è stata una stronz decisione avventata. In ogni modo, il dettagliato giudizio che ho ricevuto, non tanto sul ristorante quanto su un certo modo di fare ristorazione, mi ha fatto riflettere e… siccome tutti siamo stati in un ristorante stellato almeno una volta nella vita, quale migliore occasione di un post su Dissapore per parlarne?
Ecco dunque le opinioni del mio cliente organizzate in 6 punti salienti.
(1) MANGIARE. Vado al ristorante per mangiare, non a teatro per assistere allo spettacolo del cuoco di turno.
(2) ALLA CARTA. Ordino sempre alla carta per lo stesso motivo: vado per mangiare e voglio scegliere, niente menu imposti. Ma anche il menu degustazione è praticamente imposto, perché mangiando alla carta si spendono cifre molto più alte del menu consigliato. Ho già detto MOLTO più alte?
(3) INUTILI DECLAMAZIONI. Se ordino alla carta il maitre (o il cameriere) che viene al tavolo per spiegare i piatti non solo è inutile, mi dà fastidio. Quel che c’è nel piatto sta scritto sulla carta e personalmente, se voglio essere sicuro della scelta, chiedo spiegazioni al momento dell’ordine. Per cui, cortesemente, risparmiatemi ulteriori declamazioni.
(4) QUANTITA’. Se ordino alla carta, le porzioni delle 3 portate principali (antipasto, primo e secondo) devono essere diverse da quelle pensate per il menù degustazione, ben più lungo e articolato. Giusto? Sì, ma solo a parole.
(5) CESTINO DEL PANE. Non capisco la moda del cestino del pane. Le cose sono due: o servite pane neutro o il pane adatto a ogni portata. Il cestino ricco e variato serve solo a nascondere il fatto che il pane neutro fatto ammodino non è cosa per chef. Perché? Perché fare il pane è un altro mestiere.”
(6) DOLCI. Anche il pasticcere è un altro mestiere. In Italia è raro trovare dolci all’altezza della cena, grandi piatti dolci possono capitare, grandi dolci quasi mai.
Ora, riassumendo le opinioni del cliente indignato lo scenario dei ristoranti stellati italiani è quasi apocalittico. La maggioranza è 1) espressione dell’ego ipertrofico dello chef, 2) ideatore di menù diretti unicamente a stupire i gastroparvenu, 3) pseudo-esperti che a malapena sono stati in un locale top.
Forse il mio cliente ha esagerato, ma è vero che nel tempo abbiamo spodestato dal trono l’autentico Re del ristorante, cioè noi stessi — i clienti — rimpiazzati dallo chef di turno, messo lì quasi per acclamazione. Nonostante i ragguardevoli prezzi, DOBBIAMO ordinare il menù degustazione, DOBBIAMO rispettare ogni imposizione della sala, in definitiva DOBBIAMO mangiare cosa e come dicono loro.
Chi è d’accordo alzi la mano (chi non lo è, anche).
[Crediti | Immagine: Stockphoto]