“Peppiniello, quelle pizze diventano due!” è la famosa frase pronunciata dal Principe De Curtis, in arte Totò, nel celebre film “Miseria e nobiltà”. Era il 1954 quando “il principe della risata” ordinava e disdiceva pizze al povero figlio Peppiniello, sempre più affamato. Era la Napoli delle pizze “piegate a portafoglio”, nel centro storico ci sono ancora i banchi che testimoniano le tradizioni di un tempo. Pizze ancora fumanti da mangiare in piedi, con il busto piegato in avanti per non imbrattare camicie e cravatte. Nel quartiere “Duchesca”, a ridosso della stazione centrale, famoso per i “pacchi” a danno di indigeni e turisti, ahimè ci sono cascato anch’io, c’era già la pizzeria “Fortuna” di Antonio Coccia, papà di Enzo. “Nel 1973, a soli undici anni, quando feci capolino nella pizzeria di famiglia, eravamo in 230 a Napoli a sfornare pizze, oggi ne siamo 1350 ma la qualità è peggiorata”.
A parlare è Enzo Coccia della Pizzeria La Notizia.
E’ dal 25 giugno 1994 che ha aperto la sua pizzeria in Via Caravaggio, strada che collega le colline del Vomero e di Posillipo alla zona flegrea. Questa piccola pizzeria a breve funzionerà solo per le pizze da asporto, quasi pronto il trasferimento in un nuovo locale nella stessa strada, poco più giù. La Notizia fa storia a sé nel panorama delle pizzerie napoletane. Pochi posti a sedere e grande qualità. Stesso concetto dell’alta ristorazione applicato al cibo popolare per eccellenza. Pomodori del piennolo di Casa Barone del Parco naturale del Vesuvio, l’olio extravergine d’oliva “Le Tore” di S. Agata sui due golfi, la mozzarella di bufala campana, i migliori prodotti che la nostra regione offre finiscono sulle pizze di Enzo Coccia. Caso unico in Campania.
“Quelli che usano l’olio di semi nelle loro pizzerie sono degli assassini”. Senza mezzi termini. Mi spiega che la temperatura del forno arriva a 450 gradi e non esiste nessun olio di semi che abbia un punto di fumo così alto. La pizzeria è aperta solo di sera perché di giorno Enzo organizza corsi per aspiranti pizzaioli. L’appuntamento è alle ore dodici. Alla pizzeria troverò tre ragazzi alle prime armi, Erika Kashima from Tokyo, Clinton Elmore from Brooklyn e Giancarlo Talerico from Calabria ma ammogliato a Budapest e in procinto di portare con sé l’arte della pizza napoletana in Ungheria. Non poteva scegliersi maestro migliore.
Partiamo però dall’inizio. L’impasto. Subito capisco che è il particolare che più sta a cuore a Enzo. Farina doppio zero, acqua, sale fino marino, lievito fresco (solo d’estate, nei periodi più caldi, il lievito madre). “La lievitazione deve avvenire naturalmente, nell’arco delle dieci/dodici ore a temperatura ambiente. La maggior parte delle pizzerie fanno lievitazioni accelerate, brevissime, con quantità enormi di lievito che rendono la pizza indigeribile”.
Non lascia niente al caso, Enzo. Dalla scelta della legna per il forno, rigorosamente quercia e faggio. La robustezza della quercia perché, una volta arsa, forma la carbonella che a contatto con il suolo del forno permette di cuocere come si deve la parte sottostante della pizza. Il legno di faggio, più tenero, è maggiormente indicato per una buona cottura della parte esterna della pizza, il cornicione.
“C’è poco da fare, i grandi numeri non si sposano con la qualità. E’ proprio una legge. Io sono un artigiano della pizza. Non ricorro a nessun attrezzo, solo le mani. Per il pomodoro non uso né mixer né passini così come per la mozzarella. Quando devi sfornare mille pizze ogni giorno la qualità, almeno come la intendo io, te la puoi anche dimenticare”.
Mentre io e Enzo parliamo i tre ragazzi lavorano all’ impasto. “Clinton, stendi quelle braccia, devi metterci più forza!”. Gli inconfondibili odori cominciano a produrre i primi effetti. Raccoglie le mie intenzioni al volo Enzo. “Cominciamo con un pagnottiello salsiccie e friarielli. Erika, are you ready?”
Alla giapponesina e all’americano brillano gli occhi. Clinton s’ informa sui friarielli (verdura tipica napoletana appartenente alla famiglia dei broccoli). Lo prende in giro Enzo chiamandolo “McDonald”. “Avete fatto bene voi di Dissapore a spezzargli le corna al McItaly”. Mi aveva detto Enzo che segue il nostro blog ma non credevo fosse così informato. L’antipasto è andato bene, tocca alla “classica”, la margherita.
Perché la mozzarella di bufala e non il fiordilatte? gli chiedo.
“Trovare il fiordilatte giusto non è facile. Ci sono piccoli produttori, soprattutto a Vico equense e ad Agerola, però fanno solo piccole quantità prodotte con mucche locali. Mi fido più della mozzarella. Dopo averla tagliata la metto in un colino per farle perdere i liquidi in eccesso, poi va in frigo per 4/5 ore quindi la riporto a temperatura ambiente.
Comunque, prima di mettere la mozzarella sulla pizza, la stringo con la mano per farle perdere ancora quel poco liquido rimasto”. Altro particolare. “Non uso il parmigiano ma il pecorino, come tradizione vuole”.
Andiamo avanti con la versione “marinara”, nemmeno il tempo di toglierla dal forno che l’americano se l’è pappata tutta, ha ragione anche lui. Ho il pudore di non ordinargli un’altra pizza, magari con cicoli di maiale e ricotta di bufala, solo perché Enzo deve proseguire la sua lezione.
C’è poco da dire, le sue pizze si distinguono per la grande qualità dei prodotti che usa ma il pregio più evidente è che sono straordinariamente leggere.
Difetti della pizzeria? Solo due. In via Caravaggio è quasi impossibile parcheggiare l’auto. Il secondo? La sua pizzeria, scendendo Via Caravaggio sulla sinistra, la riconoscete facilmente. Quando vedete decine di persone in piedi ad attendere il loro turno, siete arrivati a destinazione. Vi tocca aspettare.
Ne vale la pena, questa è la vera “pizza gourmet”.