Il luogo non sembra dei migliori almeno a leggere l’indirizzo: vicino al carcere di San Vittore. La zona in realtà non è affatto male, e comunque fuori dai giri classici della “Milano by night”. In una via laterale si trova questa sorta di bistrot dove l’arredamento gioca un ruolo essenziale. Così per curiosità, provate a scendere subito in bagno, guardatevi intorno e notate le soluzioni poco consuete, c’è perfino un tavolo apparecchiato vicino alle porte delle toilette, non sappiamo quanto invitante.
Però l’insieme colpisce, come le tovaglie appese, il bancone d’ingresso che risulta accogliente, le strane foglie di gomma attaccate alle pareti e le finestre con le inferriate, Insomma, carcere o guardino? Il design non opprime, tutt’altro, solo che la simpatia per il locale si può incrinare quando arriva il menu — inserito nei libri — e a voi tocca il best seller di Federico Moccia (aagh!).
La cucina strizza consapevolmente l’occhio al goloso con pietanze fabbricate per far salivare alla vista, ma ce ne sono altre nient’affatto semplici. Buono lo stuzzichino di crema di piselli amaranto e liquirizia e anche un po’ di menta, il contrasto è azzeccato. Da mangiare a 4 palmenti la crema fredda di pomodoro con stracciatella di burrata e acciughe, per palati robusti, in preda al demone febbrile del piccante le lagane di farro con le zucchine e la ‘nduia. La monumentale oca con ciliegie che ricorda tanto i piatti degli anni Sessanta merita complimenti a nastro. Per contro, i gamberi con gelato alla senape, molto alternativi, sono divertenti ma non proprio buonissimi.
Poi, volendo, esistono anche i piatti della tradizione, piemontese e milanese in primis. Sui vini i fanatici qualche problema lo avranno, ma la carta è ampiamente sufficiente ad una clientela standard. 70 euro a mangiare tutto ma l’esperienza è da fare.
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