Mai stato facile accorgersi di cosa vuole un critico dal nostro ristorante. Per aiutarvi a capire, abbiamo tradotto (e ambientato) l’articolo di un noto critico britannico sulle 10 cose che distinguono un buon ristorante da uno no, secondo i gusti difficili dei rompiscatole di professione. Che i ristoratori si attrezzino, mentre ai critici chiediamo cosa manca.
1 – Luce naturale. Il cibo ha un sapore migliore e il vino accende i sensi quando ci sono delle finestre vicino. La luce naturale favorisce il buon umore e stimola i recettori del gusto. Inocula piccole bombe di serotonina dentro di noi anche quando piove. Perfino di notte, una finestra senza tenda permette di gustare lo scintillio e il caos della vita di strada.
2 – Semplicità. Basta con i santuari. Via le tovaglie di fiandra e le tende opulente. Gli arredi semplici sono i migliori, specie se convivono legno e mattoncini, travi originali e travicelli industriali. Una caraffa in ceramica dipinta a mano, l’alloggio per il pane scavato nel legno del tavolo, un binocolo per i ristoranti con vista. Queste cose contano oggi.
3 – Un po’ di rumore. Non intendo il chiasso teatrale delle trattorie italiane. Voglio dire della buona musica (i Killers, un tocco di Kd Lang) suonata a un volume ragionevole, e una piacevole conversazione tra persone che sanno di non essere sentite. Diffido del ristorante che mi impone la regola del silenzio. O peggio, di quello dove i tavoli sono così attaccati, che dopo 10 minuti il vicino sa tutto della mia vita.
4- Camerieri che sanno cosa c’è nel piatto. Non chiediamo molto ai camerieri. Che ci notino all’arrivo. Che portino posate, pane, acqua, menu e una carta dei vini. Che non si facciano attendere troppo. Ma anche che manifestino un qualche entusiasmo, visto che abbiamo scelto di mangiare nel loro ristorante. Come? Sapendo cosa c’è nel sugo. Spiegando le parole incomprensibili del menù. Evitando di chiedere: “Non si sente bene?”, ogni volta che lasciamo qualcosa nel piatto.
5 – Libertà di scelta. A meno che non abbiate un ristorante giamaicano, eritreo o brasiliano, anche se siete specializzati in carne o pesce, sarebbe bene servire una zuppa o un piatto di formaggi che non siano dannose per la vostra reputazione.
6 – Come faceva la mamma. Un cesto di pane che arriva caldo dal forno fa ancora la differenza. Quando sul tavolo arrivano pasta, salse e dolci fatti in casa, è come prendersi una piccola rivincita contro tutto il cibo già pronto che mangiamo ogni giorno.
7 – Il sommelier fidato. Come fa un sommelier a conquistare la nostra fiducia? Consigliando un vino che non prosciuga le nostre tasche. O suggerendo la scelta tra qualche bottiglia di prezzo medio. Andrebbe ancora meglio se ogni singolo vino dell lista fosse disponibile al bicchiere.
8 – Trovare una gigantesca bistecca nel menù. A volte siamo troppo affamati, nervosi o rudi per apprezzare i piaceri del “Confit di anatra alle ciliege” o del “Branzino con brasato di finocchi”. Tutto quello che vogliamo è una gigantesca bistecca con le patate fritte. Qui e ora. Qualche ristorante ha considerato il possibile calo degli zuccheri attrezzando il menù di conseguenza. Grazie.
9 – La gioia del dolce. Uno dei piaceri di essere un critico gastronomico, è quello di scoprire – dopo anni trascorsi a snobbare il menù dei dolci per passare al caffè – quanta creatività c’è nei dessert di oggi. Dopo averne assaggiti un po’ – fondenti di cioccolato, crème brulée, tiramisu destrutturati, creme al rabarbaro – realizzi che sono i veri indicatori della immaginazione di ogni chef.
10 – Coperto e servizio (adattato). Il punto è che un buon ristorante non impone un costo fisso per coperto e servizio. Il cliente apprezzerà, compensando il cameriere con una mancia più alta. A patto che se la meriti.