Se al tavolo del vostro ristorante siede spesso un uomo non troppo alto, con i capelli neri e la carnagione scura, che studia attentamente i piatti e il modo in cui li servite, è possibile che si tratti di Alessandro Di Rosa. Dovesse proporvi i suoi disegni a fine pasto, voi ascoltatelo. Perché in questo modo sono nate collaborazioni con chef importanti come Pino Cuttaia del ristorante La Madia di Licata, una stella Michelin, o Carlo Cracco cuoco di stanza a Milano che non ha bisogno di presentazioni. E perché Alessandro Di Rosa, l’artigiano cui piace mangiare bene, è finito sul New York Times, pagine dell’arte. Il motivo sono i suoi piatti in vetro personalizzati nelle fogge, nelle misure e nei colori, che deliziano gli chef italiani ben oltre Modica e la Sicilia, dove è nato. Anche se, al momento, il suo più fervente testimonial è il cuoco Ciccio Sultano, del ristorante Il Duomo di Ragusa, due stelle Michelin.
Stanco di assecondare la moda dei piatti più in debito con l’architettura che con il cibo, Sultano ha chiesto a Di Rosa piatti rettangolari di vetro trasparente che riescano a catturare e esaltare i colori delle salse. Più una serie di cucchiaini sempre in vetro, grazie ai quali i clienti potranno scegliere dal menù con maggiore libertà rispetto al classico percorso—antipasto, pasta e piatto di carne—della cucina italiana tradizionale.
Il lavoro di Alessandro Di Rosa può essere visto qui. E sarebbe interessante sapere cosa ne pensate, perché non tutti amano i piatti quadrati, ricordo una ostinata avversione dello scrittore Camillo Langone, e nemmeno i piatti in vetro. O quelli troppo ricercati accusati di rubare la scena alla cosa più importante. Il contenuto.
[New York Times, Thalass, immagine: NYTimes]