Caro Ferran Adrià, io te lo dico. Se non smetti di cambiare idea ogni 3×2 qualcuno viene in Costa Brava, ti strozza a mani nude, poi spedisce i tuoi arti a 4 indirizzi diversi. Sarai anche il cuoco più famoso del mondo ma negli ultimi giorni hai spezzato il cuore di chi ancora sogna di sedersi a un tavolo di El Bulli, il ristorante di Roses, a nord di Barcellona, che il mondo ha benedetto per la sua creatività e maledetto per l’assurda lista d’attesa.
Dopo l’annuncio shock di fine-gennaio—El Bulli chiude nel 2012 e riapre nel 2014—venerdì scorso hai detto al New York Times che sì, il ristorante chiuderà nel 2012, ma per sempre. Al suo posto nascerà una modernissima scuola per cuochi. Poi ieri, come se nel frattempo non si fosse scatenata la reazione isterica degli inconsolabili, hai negato tutto. “Non ho mai detto che El Bulli chiuderà alla fine del 2011. Con il New York Times c’è stato un malinteso senza malafede”. Quindi le cose stanno come annunciato a gennaio, il ristorante chiuderà per un periodo di due anni e riaprirà nel 2014.
Caro Ferran Adrià, non sarebbe meglio se ci dicessi chiaro e tondo che dopo 20 anni di sperimentazioni sei esausto, e che hai bisogno di perfezionare la prossima fase della tua vita? Se questa è davvero la fine di un’epoca nella storia della gastronomia ce ne faremo una ragione. Anche perché ne inizierebbe un’altra, perfino più importante. L’alta cucina potrebbe entrare formalmente nel mondo della cultura con la c maiuscola.
Nei tuoi progetti, El Bulli come lo conosciamo chiuderà per sempre nel 2012. Ecco l’origine dell’incomprensione con il New York Times. A riaprire nel 2014 sarà quasi sicuramente una fondazione. Più muscolosa dal punto di vista finanziario, e speriamo più avveduta nella gestione. Perché diciamolo caro Ferran Adrià, il fatto che dal 2001 El Bulli perda mezzo milione di euro all’anno, certifica che genio e bernoccolo per gli affari non vivono necessariamente sotto lo stesso tetto. Sei tu che lo riconosci:
“Chiunque con un po’ di cervello avrebbe aperto El Bulli a pranzo e a cena ogni giorno dell’anno. Facendo così, tre milioni di euro all’anno non ce li avrebbe tolti nessuno. Invece abbiamo deciso di aprire solo 6 mesi all’anno. Con il risultato che oggi il marchio vale più del ristorante. Ecco perché per il 2014 penso a una fondazione non-profit, simile a quelle che gestiscono i musei e i centri artistici in Spagna”.
L’idea della fondazione nasce dalla convinzione dello chef che nel tempo El Bulli fosse diventato troppo importante per essere condizionato dal rischio di impresa. Importante per la cultura spagnola.
“Negli ultimi anni il ristorante è già stato sovvenzionato, per cui questo modello ha un senso. I fondi arriveranno in buona parte dalle mie attività, ma naturalmente siamo aperti anche a contributi esterni“.
In fondo, a chi sogna di sedersi al tuo tavolo, caro Ferran Adrià, interessa solo che El Bulli continui a essere ciò che è stato in questi anni. E per fortuna, fondazione o meno, è assolutamente sicuro che nell’ex ristorante più famoso del mondo, si continuerà a cucinare e mangiare come comanda el mejor cocinero.