Il 2009 è l’anno del cibo retrò. Perché lo scegliamo, e cosa racconta di noi? Per rispondere a queste domande, ogni giorno di questa settimana Dissapore dedicherà un post ai ricordi. Chiamiamola: la settimana della nostalgia.
Padre padrone del nascente giornalismo della tavola era Federico Umberto d’Amato, curatore della Guida d’Italia dell’Espresso, personaggio singolare e controverso, ma, limitandosi a questo settore, di grande fiuto e talento. (Negli stessi anni, quando ministri dell’Interno erano Mariano Rumor o Paolo Emilio Taviani, d’Amato era a capo dell’Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno, il servizio segreto progenitore del Sisde. Curioso caso di spia-gourmet, n.d.r.).
A lui devo i rudimenti, e un duro e affascinante apprendistato.
Federico, che ai tempi curava una raffinata rubrica gastronomica (“Gault Millau”) sul settimanale L’Espresso, era a detta dei suoi (tanti) nemici, spietato, ma con gli amici amabile e generoso: quante le ore passate a raccontarmi, a me che venivo da un mondo di numeri e di calcoli, la legge del buon senso, che è quella poi della semplicità e dell’equilibrio che sono alla base, ieri come oggi, di ogni buon piatto! Le prime volte, eravamo a fine del 1984, uscivamo assieme, noi due e “virgola”, il suo cagnolino.
Poi cominciai da solo in giro per la città finché mi propose la prima trasferta. Il primo viaggio nel profondo sud, terra di nessuno, a quei tempi una spedizione nel deserto con un solo indirizzo segnalato dopo Salerno, un certo Alia di Castrovillari del quale si diceva un gran bene.
In Puglia ci andava il buon e bravo Gigi De Santis (ex direttore della guida ai ristoranti dell’Espresso), ma da quelle parti proprio nessuno. Avevo un paio di improbabili segnalazioni sulla strada, la prima la trovai chiusa, alla seconda entro. Una trattoria familiare sporca ma verace. A quell’epoca mangiavo ancor meno che oggi, praticamente un’ inezia. Prima della fine della cena arrivò il medico del paese chiamato dal titolare. Era convinto che stessi male! Quando poi capì che non lo ero, dedusse che ero lì per altri motivi. Mi guardò dubbioso, giornalista non sapeva nemmeno cosa fosse, sospettava invece un controllo fiscale o giù di lì.
Quando gli chiesi i giorni di chiusura e altri dati per la guida, mi cacciò via: “Io apro quando voglio e non certo a tipi come Lei che non mangiano nemmeno! Vada via e non mi prenda in giro!” Così iniziò la mia carriera.
Immagini: Leonardo Ciomei