Ancora una volta sull’A3. Questa volta tiri dritto dopo Castellammare e il mare sembra sparire, prima nel verde delle colline poi nel cemento della case vicine come spalti sulla pista, infine solo cielo a sorreggere la strada. Esci a Vietri sul mare quasi tra le nuvole e mentre ti domandi dove diavolo sia il mare cominci a scendere la rampa lentamente come apriresti una porta per sbirciare: un pezzo alla volta, in mille sfumature del blu, ecco la costiera amalfitana. Per una volta non mi lascio incantare dai colori delle ceramiche e lasciando Vietri alle mie spalle, le due ruote sulla roccia a strapiombo in pochi minuti mi portano nella piazza di Cetara, ad uno dei tavoli del ristorante “Al Convento”, quasi un ritiro ispirato alle acciughe, protagoniste indiscusse di questo comune.
Il locale è all’interno di un convento del ‘600 con alcuni affreschi in vista sulle mura perimetrali della bella sala mortificata da una controsoffittatura con plafoniere ad incasso che grida vendetta. Oggi però ci si gode la bella giornata e dunque sono tutti sulla terrazza affacciata sulla piazza.
La carta è un inno alla tradizione locale, un omaggio ai tanti cetaresi che da maggio sono in mare per dedicarsi alla pesca del tonno (ora in forte crisi per i blocchi comunitari) e delle alici. Pietanze semplici dai sapori potenti, cantina intelligente con ricarichi da enoteca. Con l’antipasto ci si presenta.
Il bianco del piatto a malapena si scorge tra le alici, marinate con pomodori secchi e alla scapece, fritte con la provola o in forma di polpettine, di fianco spicca il rosso del pomodorino di Corbara con un assaggio di tonno.
Il primo piatto è d’obbligo, e dopo l’ultima forchettata di spaghetti con colatura di alici (già presidio Slow Food) sbircio i turisti che con diffidenza si affidano a una stonatissima bistecca alla fiorentina presente per loro, e solo per loro, in una carta di mille tentazioni azzurre.
Indomito ripulisco una frittura di alici adagiata su un materasso di cipollotto nocerino dop: annusatelo e poi mordete la cipolla insieme al pesce: un binomio di consistenze così buono che istiga all’ingiuria e una cipolla follemente delicata.
Con un dessert al cioccolato bianco, buono, ma che avrei preferito più “leggero” (magari giocato sui profumi dei limoni che ti offrono lungo la strada) e dopo una piacevole chiacchierata con la patron — appena rientrata dai terzigni dove la colatura è già in lavorazione — che si fa un punto d’onore di educare a questa tradizione la generazione ribelle dei nipoti, sono pronto ad affrontare le dolci curve prima dell’ennesimo casello.