—Premessa. Leggete risolti e distesi, questa non è la solita tiritera contro le guide ai ristoranti. Sarà che io adoro leggerle, certo, non tutte e comunque con riserva. Dico di più, mi tengono compagnia durante le quotidiane funzioni corporali, e non fraintendete. Compro la guida dell’Espresso perché la trovo credibile, ho comprato quella del Gambero Rosso prima di stancarmi per vari motivi, mai sfiorata la mitologica guide rouge Michelin: entrare in un tristellato è e-c-c-i-t-a-n-t-e, uscire dopo aver pagato, meno, e le stelle si contano bene anche in libreria. Di Osterie d’Italia di Slow Food non parlo per conflitto d’interessi, ci collaboro, la seguo come il Vangelo e basta. —Fine premessa
E fu così che dopo averne letto meraviglie (Caffarri, Passione Gourmet e Cortese) venne anche per me il giorno dell‘Osteria del povero diavolo a Torriana. I 60 anni del tuo vecchio disposto a pagarsi la consulenza sono una scusa socialmente accettata. 2 ore di auto preoccupano specie per il ritorno e il Tom Tom recita “arrivo” quando sei in un centro abitato ma senza abitanti né insegne. Trovo invadente fare foto al ristorante e preferisco un tavolo defilato mentre scatto per memorizzare piatti dal sottotitolo lungo come il sapore.
Ci sono i menù degustazione “Ritorno al futuro” da 55 euro e “La cucina del mare” a 65 euro, più piatti vari tra i 15 e i 20 euro. Ma oggi è festa, vado con il top di gamma, “Tipico terrestre”: 10 divagazioni di cucina a sorpresa da 85 euro.
Fausto “il baffo” Fratti mi ispira più di una carta dei vini ampia ma senza indice, e mai abbinamento con 5 calici e rabbocco libero per 35 euro fu più azzeccato. Non siamo all’Enoteca Pinchiorri e il godimento sono vini “piccoli”, sconosciuti ai più come il Gheppio di Bragagni (un trebbiano Ravenna bianco igt non filtrato), l’Ageno de La Stoppa, un orange wine (bianco macerato) piacentino che ce ne fossero così in giro e il cerasuolo di Valentini, quello sfuso. Questo è proporre il territorio con personalità, il resto è fuffa.
Carne e pesce si alternano con ispirazione rara. Il calamaro scottato con suo nero, crema di fagioli e pelargonio è il primo piatto nella lista di quelli che valgono il viaggio, finché non arriva il risotto con acqua di pomodoro, burro acido e semi di levistico a battezzare la neonata sezione “da ricordare finché campo”. Un piatto all’apparenza anonimo come un risotto bianco, senza niente. Beh, il sapore faccio fatica a descriverlo, l’estetica è zero, il gusto è tutto.
800 piatti creati in 4 anni, menù che cambia a velocità imbarazzante. Sono indeciso se essere più felice per la possibilità di trovare sempre qualcosa di nuovo o infelice perché può capitare che il piatto-folgore non sia più in carta. Andrebbe aggiunto un menù greatest-hits, che uno chef così non abbia la sua passatina di ceci (Fulvio Pierangelini docet) stampata a fuoco sui sacri testi è intollerabile. La cipolla in 4 consistenze, poi, è un piatto troppo semplice e geniale per accontentare tutti. Meglio così.
Gli elogi diventano una litania? Non voglio annoiarvi, ma tutto il piccione è una roba da urlo, con il petto al sangue tenerissimo, una crema royal che potresti uccidere per averne ancora, e chissenfrega se il raviolo non fosse in linea con la perfezione del resto.
L’andamento della cena è costante, gli acuti imprendibili sono il carburante per qualche piatto che non spinge sull’acceleratore. Talento è anche il coraggio di seguire il proprio istinto sapendo che certe cose convinceranno e altre meno. Insieme a un dolce “sempreverde” (dragoncello, chartreuse ed erbe aromatiche) che farebbe cinguettare anche il più rude dei maschi, arriva al tavolo lo chef. Ed è tutto più chiaro.
Pier Giorgio Parini è un cuoco giovane ma già esperto, dalla mano solida. Questo è il suo habitat, è nato e vive a pochi km dal Povero Diavolo. Ha uno sguardo timido, la voce serena ma decisa, gli chiedi del premio “chef dell’anno” che gli ha assegnato la guida ai ristoranti 2011 dell’Espresso, e lui quasi si preoccupa che la consegna capiti di giovedì e non di mercoledì, giorno di chiusura per turno del ristorante. Umanità allo stato puro, manico e molto lavoro per questo giovane uomo, accudito da due padroni di casa affabili e concreti.
Questo è quanto, credere o non credere. Ora spiegtemi a cosa serve una guida tipo Michelin che liquida il Povero Diavolo così, senza squilli di trombe né stelle. “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa” lo scrisse Dante nella Divina Commedia, mica Luigi Veronelli. Sempre roba di Inferno, chiaro.