Il pane non va bene, inutili superlativi e dispregiativi, semplicemente non va bene. Pessimo ?, orribile ?, cementizio ? No, sarebbe inutile, semplicemente non va bene.
E devo dire che nemmeno l’aperitivo mi ha fatto girare la testa, pane “montato” con sopra pasta d’acciuga e uova di salmone. Invece ho sopportato bene le bollicine “della Clemente”, ma con le bollicine ho un problema di tara infantile, quindi tendo a compensare. Virando presto verso un mix Panna-Sanpellegrino ho ritrovato me stesso.
Dei diversi chef noti al mondo culinario, Anrea Berton mi e’ simpatico, senza alcun motivo. Ma giusto appunto il contrario di Carlo Cracco, che invece mi resta antipatico sempre senza motivo.
Quindi una serata di “stretching” tra la chiusura del Trussardi “di Berton” e l’apertura del suo di se’ medesimo ristorante l’ho approvata con gusto.
8.30 sharp, molto downtown, molto Milano, molto fighettismo in libera uscita, un po’ di triste decadenza per la strada. Ma Eat’s risplende (Eat’s è lo spazio del centro commerciale Excelsior che ha fatto riconsiderare ai milanesi il gesto quotidiano della spesa), il guest chef gia’ parlotta con una telecamera e la brigata lavora. Cioe’: anche lo chef lavora, mica che poi si arrabbi.
Dopo conciliaboli davanti all’aperitivo pare che si parta. Gambero crudo con sfera di ricotta e acqua di pomodoro: sarebbe una buona idea e molti credo avranno apprezzato. Purtroppo io ne avevo gia’ provata la versione piu’ robusta e ghiacciata al Trussardi e trovo questa un po’ “moscia”, con la crosta di ricotta troppo sottile e senza il forte il contrasto di temperatura. Erano due caratteristiche di quel piatto su cui mi soffermai parecchio a discutere con me stesso, qui invece passa e va. Comunque interessante l’uso del gambero al posto della capasanta. Gira sempre Annamaria Clemente in bollicine.
Poi prende corpo una strana bottiglia oblunga che contiene Gentil d’Alsace Hugel 2010, uvaggio fantascientifico e ipertrofico di cui rimane troppo alterante la nota aromatica. Per i miei gusti s’intende. Vino per fare gran colpo, non per fingere di essere “intenditori”.
Fratturo con calma i paninetti e comincio a chiedermi perche’ spendo soldi per questa cosa.
Come qualche volta accade, proprio mentre sono li’ pensoso e dubbioso, arriva il risotto con erbe, germogli, olive taggiasche e polvere di cappero. Ecco: qui rivedo la mano coraggiosa e affilata, gia’ apprezzata a suo tempo in Piazza della Scala. Fosse anche solo per questo risotto i soldi sarebbero ben spesi; inutile lodare la cottura precisa, sciocco sottolineare i contrasti delicati, e patetico il tentare qualsiasi paragone. Prima Provare, Poi Parlare [cit.].
Tanto ti rimane di questo risotto che della successiva nocetta d’agnello alla cacciatora con patata fritta devi per forza trovare il difetto. Mi sembrano due in questo caso: la patata fritta che rimane troppo golosa e che non riesci a dosare con calma. E la cottura della nocetta lievemente lunga (ma quella dirimpetto va gia’ meglio).
Chiude un dessert insolitamente semplice, quasi una tartina da autogrill (ok, non e’ vero ma sembra) al limone e gelato yogurt. Non indimenticabile, ma piu’ che curiosa soprattutto per la profondita’ del limone.
Indimenticabili sono invece i successivi macarons all’olio extra vergine di oliva. Il gusto deciso dell’EVO a fine pasto mi e’ rimasto in testa dalla prima volta che l’ho assaggiato, molto tempo fa, nell’allora ristorante Nicola Cavallaro di Milano (era una caramella).
L’infusione tiepida di buccia di limone e menta che stempera l’olio (in bocca, non nel piatto) la vorresti in bottiglione da due litri. Ma non te la danno.
[Crediti | Link e immagine: Eat’s Store]