Quando alla tele passa la pubblicità del test di gravidanza che “non solo ti dice se sei incinta, ma anche da quanto tempo”, spero sempre che qualcuno aggiunga “e pure chi è stato“. Allo stesso modo, quando leggo che nel tal ristorante è andata “divinamente, consistenze perfette, con una persistenza mai provata prima”, penso si sottintenda: “cosa aspetti ad andarci, sciocchino?”. Succede per uno storico restaurant francese osannato al pari dei grandi di Spagna e, stando alla Rossa gommata (leggi: guida Michelin), un gradino sopra tutti i ristoranti del suolo patrio. Si chiama Ambroisie, sta in una delle più belle piazze di Parigi, Place des Vosges, è guidato dal pazzesco chef Bernard Pacaud.
Il punto è che l’Ambroisie ha ricevuto due recensioni. Nonostante non sia esattamente a buon mercato, conto medio: 400 euretti, e a dirla tutta, nemmeno a un tiro di schioppo, in pochi giorni è stato raccontato da due blog diversi. Passione Gourmet (con il duo Alberto Cauzzi/Rob78) e Luciano Pignataro (con l’inviato Giancarlo Maffi). Però em, um… ecco, in modo diametralmente opposto.
Se per uno è stato: “lo Zenith dell’ars culinaria, la sua massima espressione terrena”, l’altro se n’è andato con “l’amaro in bocca”, causa “mancanza di due piatti dalla lista, bicchieri modesti, cadute di peso su alcuni piatti,” e non ultimo, un conto da 775 euri, mica bruscolini.
Vi lasciamo alla lettura delle recensioni dissonanti, nella speranza che almeno voi, visto che io non sono stato all’altezza, riusciate a capire chi tra i due ha visto giusto, e soprattutto, se l’Ambroisie vale lo sforzo che richiede al gastrofanatico. E per favore, non parlatemi di serata storta, o del bisogno di una visita ulteriore. Non in un ristorante tre stelle Michelin con quella sberla di conto.
Non volevo scriverlo ma son qui consumato dal dubbio. Quando a un qualsivoglia chef un filo innervosito, mordendosi la lingua, scappa il classico “ma a questi qui, dico io, chi gli ha dato il patentino per giudicare?”, non è che magari un po’ di ragione ce l’hanno? Solo un po’, eh.