Come spiegarsi tre sfarzosi ristoranti iberici nei primi dieci nella 50 Best Restaurants 2013, l’Oscar della cucina che Lorenza Fumelli ha raccontato da Londra ieri sera?
Perché tutto si tenga, si potrebbe dire che, non sarà periodo di spendere e sperimentare in un Paese martoriato dalla crisi economica, ma evidentemente tutti i piaceri degli spagnoli, più ancora dei nostri, si raccolgono intorno alla tavola.
Sarebbe comunque un azzardo.
Volando più basso possiamo semplicemente convenire su un fatto: anche se non è più tempo di emozionarsi per i cuochi catalani che sifonano tutto e lavorano a piatti a base d’aria, la Spagna ha un numero impudico di ristoranti speciali, il più super speciale dei quali è El Celler de Can Roca dei fratelli Roca.
Per raccontarvelo col senno di poi, oggi che ha conquistato la vetta della 50 Best 2013, nel bene e nel male la mappa del tesoro della cucina internazionale, ripubblichiamo una recensione scritta da Sara Porro nel febbraio 2011 –vecchia dunque– chiedendovi di accettare il rischio che in due anni il menu sia cambiato e anche in modo sostanziale.
Consideratela un’appendice alla vostra prossima visita, nel caso foste incuriositi.
Alcuni anni fa, quando lessi per la prima volta del fenomeno di coloro che prendevano un volo low-cost per cenare in un grande ristorante e poi rientrare una manciata di ore dopo, scrollai le spalle, benevolmente incredula, e collocai la notizia nel grande file mentale “le persone fanno cose assurde”, tipo i russi che fanno il bagno nei fiumi ghiacciati quando fuori ci sono -36° o le coppie che si sposano sott’acqua.
E’ quindi con l’emozione che si confà ai radicali cambiamenti di prospettiva esistenziale che annuncio che, mettendo insieme gli avanzi della tredicesima del Natale scorso, l’anticipo della quattordicesima del giugno prossimo, una parte della liquidazione e le monetine che avevo nelle tasche ho acquistato 2 biglietti Ryanair Orio al Serio-Girona e mi sono regalata una cena al favoloso Celler de Can Roca, 3 stelle Michelin, 4° ristorante 1° ristorante al mondo secondo la classifica San Pellegrino.
Vale la pena notare che il Celler di Can Roca è un posto bellissimo. Al cuore della sala principale c’è un boschetto di alberi rinchiusi tra quattro pareti di vetro, di incanto zen, che infonderebbe un senso di pace anche nel più nevrotico degli ospiti (guardate la foto in alto).
Una volta accomodati al tavolo, ci viene servito un aperitivo di benvenuto (gratuito, go figure) e restiamo per un momento soli.
Poco dopo, notiamo un cameriere venire nella nostra direzione con un alberello tra le mani.
“Il cameriere con il bonsai viene nella nostra direzione” dico sommessamente, tradendo una nota di ansia nella voce. “Sono certo che c’è una spiegazione logica” replica il mio commensale. “Tipo?” “Non so, qualcosa che ha a che a fare con la grandeur dei ristoranti tristellati. Tipo che invece del fiore al centrotavola ti danno un intero albero” “…”.
Il cameriere arriva, posa l’alberello e annuncia il primo amuse bouche, olive caramellate ripiene di capperi e acciughe che pendono dai rami dell’albero, un olivo bonsai.
Mi lascio andare ad uno squittio di entusiasmo rapito, mentre immagino lo sgomento che un piccolo coup de theatre come questo indurrebbe in tutti coloro che si sentono personalmente insultati dal “Gong” di Pietro Leeman.
Il menù degustazione scandisce con ritmo sostenuto un percorso quasi interamente dedicato al pesce.
Non mancano le sifonate né le sferificazioni, in genere però contestualizzate: melanzane, peperoni, cipolle e pomodoro alla piastra che compongono un piatto della tradizione come l’escalivada – la tipica insalata povera della Catalogna – qui sono piccole biglie colorate disposte al centro del piatto.
Sulla stessa riga si colloca quello che nel menu è indicato come “Stufato di pesce alla catalana”, e che nel piatto diventa una minuscola triglia, dai colori brillantissimi, immersa in un dito di brodo.
Ho l’impressione che questa alta cucina di territorio punti più a togliere che ad aggiungere, come tendendo all’idea platonica di un piatto della tradizione.
La sogliola con emulsioni in olio di oliva di finocchio, bergamotto, arancia, pinolo e olive verdi è un piatto sublime, uno dei vertici della cena.
Il filetto di sogliola, semplicemente scottato alla plancha, è una tela bianca sulla quale si dipingono i sapori delle emulsioni, la successione di sfumature di sapore diverte senza risultare banale.
Lo stesso gioco di abbinamenti in successione si ripropone con la tartare condita con spezie diverse e distribuite su ogni boccone. Questa volta l’esercizio è un po’ più complicato e manieristico, forse anche a causa delle piccole sferette di gelato di mostarda che monopolizzano la scena.
La Green Colourology, sorta di macedonia composta di lime, avocado e mela verde, è un perfetto pre dessert che passa come una spugna sulla lavagna del palato. A El Celler de can Roca i dolci godono di pari dignità rispetto al resto del menu – e di certo non sono molto dolci. Del resto la divisione tra dolce è salato è fittizia, che non ce lo sapevate?
Il primo dolce è un sorbetto di distillato di limone composto di crema al limone, gel al limone, bocconcini di torta al limone alla verbena, fiori di menta e miele. Fragrante, freschissimo, gradevolmente acidulo. Ma è il secondo la vera sorpresa.
Un piatto che riunisce vaniglia, caramello, liquirizia, olive nere caramellate e secche, la cui parentela con un dessert è quantomeno distante: anche la vaniglia di Tahiti nel gelato è a tal punto concentrata da risultare pressochè solo amara e sapida. Un dessert coraggioso, quasi temerario, in cui tutti i sapori sono urlati, eppure quanta perizia e quanta intelligenza all’opera!
Al Celler de Can Roca, in questi piatti senza sbavature, la tecnologia si vede e si sente – eppure non sale mai in cattedra.
Chi lo fa, invece, è certamente il sommelier, che propone in abbinamento a ciascun piatto vini tedeschi, francesi e locali in modo sorprendente e riuscito. Coraggio e istinto segnano allo stesso modo l’abbinamento vino-cibo e la composizione dei piatti, dove le zuffe giocose tra sapori contrastanti sono de rigueur.
La perfetta sintonia di intenti deriva probabilmente dal fatto che il ristorante è davvero di “casa Roca”: i tre fratelli Joan, Jordi e Josep sono rispettivamente chef, chef patissier e sommelier, e per una volta i tre elementi godono della stessa attenzione.
Senza addentrarsi nel bizzarro meccanismo di allocazione delle stelle, vale forse la pena solo notare che rispetto ai tre stelle italiani il costo è piuttosto contenuto: il “Banchetto”, il menu degustazione più ampio, a 9 portate, costa 145 euro a persona, mentre l’abbinamento di ciascuna portata al vino comporta ulteriori 65 euro.
[Crediti | Link: Dissapore, 50 Best Restaurants, immagini: Contemporist]