1. Predisposizione agli eventi inattesi. Al Noma ventiquattro piccoli piatti conditi raramente con il nostro (amato) olio d’oliva, piuttosto burro danese ricco e caratterizzato, o burro nocciola, a volte lo strutto. Freschezza e acidità non originate dagli agrumi, a volte è l’aceto, spesso non di vino, il succo o il purè di bacche acerbe, la panna acida e l’acqua di yogurt rinforzate con erbe e germogli dalla spiccata asprezza. Non c’è il pepe, non c’è il peperoncino. Al loro posto senape, radici e tuberi come rafano o prezzemolo e altri germogli piccanti. E le note aromatiche del fumo, del bruciato dell’incenerito. Esperienza a suo modo difficile che richiedeva un breve percorso di avvicinamento. Prima del migliore, il Noma di chef Rene Redzepi, lasciato volutamente per l’ultima sera, il ristorante Relae di Christian Puglisi, talentuoso chef italiano anche lui di stanza a Copenaghen, e il Geist dello chef Bo Bech. Due cucine che dal Noma discendono, ognuna influenzata e poi evoluta con stile personale.
2. Attrazione per il temperamento. Puglisi sorprende per la personalità dei piatti. Virtuosismi ponderati di una quenelle di razza marinata e sedano rapa su salsa di acqua di molluschi e foglie di sedano, sapori nordici mescolati a richiami mediterranei negli spaghetti di patate in brodo di pecorino e alghe, scelta di ingredienti e tecniche raffinate come la marinatura e la cottura a bassa temperatura di una lingua lussuriosa, accompagnata dalla salsa all’acciuga che la trasforma in un vitel tonnè postmoderno. Sostanza in cucina e un tocco di leggerezza fuori, basti pensare all’apparecchiatura fai da te stile Ikea. Lista dei vini cento per cento naturale (il sommelier è un appassionato ricercatore di piccoli vigneron naturali) completata da ottimi champagne e ricarichi assennati.
3. Gusto dello stile. Bech abbaglia con un ristorante polivalente (sala, tavolo sociale, bancone) caldo e accogliente, dettagli europei; punta allo stupore estetizzante che inizia con il primo colpo d’occhio e termina con il caffè accompagnato non dallo zucchero semolato o moscovado, ma da una scenografica nuvola di zucchero filato. Scena che si svolge su di un palco, con la grande cucina a vista circondata dal bancone che accoglie 40 coperti, usato dai giovani cuochi per interpretale una cucina risolta in tre passaggi: una base tendenzialmente già cotta, una verdura di accompagnamento e una salsa. Salse di retaggio francese, audacia moderata negli abbinamenti e spasmodica cura nella presentazione dei piatti. Buono il topinambur con anguilla affumicata e salsa al malto. Audace ma già visto l’abbinamento tra gli spaghetti di radice di valeriana e l’emulsione di ostrica. Splendido il combo crema alla vaniglia, tapenade, liquerizia e cannella. Un po’ ordinaria la lista dei vini, che strizza l’occhio a tutti i gusti dal naturale all’internazionale.
4. Spiccata disposizione per il virtuosismo. Ventiquattro piccoli piatti quelli del Noma che compongono un itinerario ricco di virtuosismi creativi. Vedi l’uovo di quaglia marinato nell’aceto e affumicato con il fieno, l’albume cotto dall’acidità e il tuorlo che per la piccola esplosione al palato ricorda il cyberegg di Davide Scabin del Combal.Zero di Rivoli, la sola esperienza italiana assimilabile. Impressionante lo studio degli ingredienti, abbiamo mangiato erbe, alghe, germogli, pesci e uova di pesce mai sentiti e che difficilmente ci capiterà di mangiare ancora.
Aprendo il capitolo della tecnica, ci è stata proposta una capasanta affettata e disidratata fino a essere trasparente, eppure croccante, accompagnata da bacche di faggina e salsa di nero di seppia e crescione. O ancora, pelle di pollo trasformata in un biscotto sia nell’aspetto che nella resa sensoriale. Impossibile dimenticare la cura estetica dei piatti: addirittura maniacale la precisione nel disporre le doppie foglie di timo a cavallo delle sottilissime castagne crude accompagnate da latticello e uova di pesce bleak roe. Il piatto della serata per equilibrio e coerenza dei sapori.
Anche Rene Redzepi ricerca lo stupore: rametti di legno nel vaso di fiori che sono in realtà grissini, gusci di cozza croccanti e saporiti indistinguibili dai veri… gusci. Un po’ di pathos: antipasti in forma di biscottini o wafer, presentazioni in vecchie scatole di latta, chip di patate che diventano cioccolatini. Esperienza sensoriale e profondamente culturale.
Talmente semplice da rasentare l’austero, l’interno vive una bellezza non effimera grazie alla ricercatezza dei dettagli. Tavoli e sedie in faggio naturale cerato, alcune sedie con velli di pelliccia sullo schienale, segni nei muri a calce viva che non nascondono la vicinanza del mare. Servizio estremamente professionale, piatti spiegati e non recitati meccanicamente, spesso, o almeno qaundo la complessità lo richiede, da un cuoco italiano. Lista dei vini densa con ricarichi da ristorante stellato, bella selezione di champagne e riesling tedeschi, simpatia spiccata per i vini naturali.
5. Soldi. ?