Mentre guadagno l’autostrada con un’espressione vagamente ebete sul viso provo una sensazione molto prossima alla mia attuale idea di felicità. Ho appena lasciato Casa Vissani e la Proposta 1’ora, scritto proprio così. Tre piatti e un bicchiere di vino, pane e acqua per trenta-euri-trenta.
Cominciamo dalla fine: non c’è posto al mondo dove si sta così, spendendo così. Cucina, servizio, locale, tutto grande e a un prezzo incredibile. Seduto – per la verità un po’ attrespolato – sugli sgabelli attorno al monumentale tavolone con altri due viandanti, non smetto di chiedermi come mai non c’è la fila lì davanti, magari con i nonni che vengono a tenere il posto di notte.
La Proposta 1’Ora è scritta a mano, vino incluso: oggi avremo San Maglorio di Campo del Sole, un Sangiovese di Romagna dal millesimo non dichiarato. Non malvagio. Temevo la convivialità forzata del tavolone da sedici, eppure questa è stata una delle note più positive dell’esperienza. Il giovane cameriere spinge sull’acceleratore della sua vocazione all’intrattenimento, ma così facendo innesca la conversazione.
C’è pane “fatto in casa dalla sorella dello chef”, un filone servito con l’olio di Cipolloni: bene, ma niente a che vedere con la profusione di pani del Menù Grande (155 euro).
Per aprire, la tartara di tonno e panna acida con zuppa fredda di semi di zucca tostati, con una quenelle di albicocche al basilico e una aggiunta di taccole appena scottate. Tu quoque, tonno? ma il piatto è un arcobaleno di colori ricco di contrappunti. Taccole di ubriacante verità.
C’è la costoletta di vitella impanata al pan brioche e fritta, con sugo di coda e una millefoglie che da sola vale il viaggio e la seccatura di scendere dall’auto per suonare il campanello all’ingresso. Battuta di crudo di vitella, purè croccante, una salsa verde di erbe che non riconosco e altri dodicimila ingredienti: definiti con esattezza ma subito vinti da altre sensazioni. La panatura ha qualche ombra bruna, ma il gusto è giusto. Carne appena appena rosa cedevole alla lama. In bilico tra il normale e l’immenso.
Ha ritmo la sequenza: ecco la tavoletta di taccole e tè verde con gelo d’anguria ricoperta al cioccolato bianco, accompagnata da un tè con schiuma d’anguria (e che nessuno pronunci quella parola: molecolare, dico). Seducente abbinamento.
Finito: il conto è quello previsto, più cinque europei del caffeino.
Esco felice, appunto. Ho avuto alcuni fotogrammi di grande cucina. Grande ma non immensa. I piatti hanno una dignità molto prossima, se non pari a quella della Carta Grande, pur tenendosi lontano dalle materie pregiate. Il servizio è alle soglie della perfezione: la chiacchiera sciolta pare un marchio di fabbrica. Non ho avvertito giochi al risparmio, ma la felicità di oggi ha tra i suoi ingredienti decisivi il conto. Con i prezzi alla Carta, non so.
Vissani è stato una della Case più dispendiose d’Italia, oggi ha uno dei migliori rapporti spesa/benessere in assoluto, e non solo per 1’ora. La sua arte – ma forse si dovrebbe dire quella di Luca Vissani – ha raggiunto il rango dello standard: del classico, con la grandezza e con i limiti della classicità. A Casa Vissani si sta enormemente bene: ma l’assoluto *qui ed ora* temo non si trovi qui.
PS.: Niente Maestro, nemmen stavolta.