Quanto ci mancano gli aggregamenti della birra, gli opinionisti della ristorazione nemmeno possono immaginarlo. Mentre si corre ad indovinare “Come saranno” i ristoranti dopo il Coronavirus, ci è venuta una gran voglia di pub, di ressa e bancone, festival.
Vedete, c’è una dicotomia fallace tra la visione di ciò che si consuma di giorno e la somministrazione serale (per non dire..notturna), tanto che mentre pagine e pagine si consumano sulla previsione del futuro del fine dining e delle trattorie – certo, tutti parlano come avessero contezza di ciascuna delle possibili variabili, già si sa come reagirà la gente, psicologicamente, al sollevamento della quarantena stretta e come si svilupperà la questione dal punto di vista sanitario, già conosciamo tutte le misure restrittive che il Governo adotterà da qui al 2022 ed abbiamo un rendiconto completo degli strumenti di sostegno del reddito, dell’impresa e delle varie sovvenzioni che saranno operati – assai scarsa è la letteratura sui locali dedicati alla birra, trattati alla stregua delle discoteche, in questo ammasso di palle di cristallo.
La realtà è che tiriamo a indovinare: facciamo pronostici, ma non abbiamo punti cardine per capire l’andamento di questa faccenda così grande, nessun precedente, niente analogie.
Parlando di ciò che conosciamo, però, sappiamo che per sua struttura, il pub, più della pizzeria o del ristorante servito, è in crisi come modello e se le cose non cambiano rotta lo sarà sempre più. Pensateci: il pub è calore. È bancone gomito a gomito. È fila accalcandosi in un bugigattolo (ma comunque felici, e facendosi una risata) con le mani sulle spalle di quelli davanti, aspettando la cassa. È farsi spazio tra la gente per posare un bicchiere. È il prato sdraiati, di fuori, d’Estate. D’Inverno è il capannello con la pinta in una mano e la sigaretta nell’altra, che porta calore alla strada.
Non sappiamo “come sarà”, ma “cosa non potrà più essere”, perché inevitabilmente e quantomeno nell’immediato dovrà cambiare radicalmente; quello sì. E dato che appunto non lo sappiamo, qui parleremo di quello che sappiamo: ossia i fattori di rischio oggettivi che i pub dovranno considerare cercando di capire cercando di adeguarsi alla situazione attuale.
La struttura
Cuore pulsante di ogni pub è il bancone, che per molti locali corrisponde anche alla gran parte dei posti a sedere previsti in totale. Il bancone è pensato per la prossimità, è il luogo per eccellenza dal quale si può attaccare bottone con completi sconosciuti o dialogare con il publican, ossia interagire a stretto contatto. Questo dovrà cambiare. Se ne ha che molti esercizi dovranno escogitare metodi creativi per ottimizzare i pochi posti a sedere al tavolo, oppure rimaneggiare le strutture degli stessi banconi in modo tale da renderli contemporaneamente fruibili e idonei alle nuove misure di sicurezza.
Analogo ragionamento va applicato agli spazi esterni, luoghi di assembramento per eccellenza, regno assoluto della libertà e del moto browniano: è difficile pensare a una realtà diversa, ma anche la permanenza e il consumo fuori dalle mura dei pub dovranno essere, per quanto possibile, razionalizzati.
Le dimensioni
Qui siamo di fronte a un dilemma duplice: se da una parte alcuni pub si troveranno ad essere fisicamente troppo piccoli per ospitare clienti in conformità alle misure di sicurezza, oppure potranno accoglierne così pochi da non riuscire a garantire incassi sufficienti, dall’altra strutture molto grandi e dall’offerta particolarmente articolata avranno difficoltà a ridurre i coperti in modo da consentire che quest’ultima possa essere mantenuta identica al pre-quarantena.
Facciamo esempi noti: come sopravvive un Macché siete venuti a fà, luogo di assembramento per antonomasia, cuore pulsante della Roma turistica che non cede alla somministrazione di bevande becere, alle già scritte e futuribili misure sul distanziamento sociale? D’altro canto, locali più grandi, come Brasserie 4:20 o Open Baladin, sempre a Roma, che per dimensioni e proposta si sono dotati di una forza lavoro assai maggiore, come potranno tirare avanti, senza licenziare la metà del proprio personale?
I costi
Nodo centrale di tutta la questione, è il rapporto tra costi e incassi: dando per scontato un calo di fatturati, che sarà conseguenza diretta del minor numero di clienti che è possibile servire, non sarà altrettanto scontata una diminuzione dei costi di operazione dell’attività.
Costo del lavoro e del personale, degli affitti e delle utenze saranno voci difficili da decurtare, se si esclude un intervento diretto di mediazione/calmierazione delle stesse a livello statale.
Qualora questa non intervenisse, sarà giocoforza optare per strutture e metodi di operazione più snelli, pena la non sopravvivenza degli esercizi.
La concorrenza interna
Esorbitante la quantità di birrifici artigianali che durante il lockdown si è organizzata per consegnare direttamente, nelle case di tutta Italia, con un e-commerce aziendale fino a pochi mesi fa impensabile, forse impensato.
Bravi loro, si sono reinventati, come si caldeggia adesso, in molti casi offrendo a 3-4 euro la stessa birra che al pub trovavamo (troveremo, speriamo) a 5-6 euro, a domicilio in 24-48 ore, refrigerata.
Ora, noi che scriviamo conosciamo bene la differenza tra consumare una birra al bancone e bercela in solitudine, ma siamo sicuri che, dopo questa strage sanitaria, i consumatori saranno disposti a riconoscere un valore aggiunto in quel gap di prezzo?
Finché pizzerie e ristoranti insistevano con la birra industriale alla mescita a 5 euro e la concorrenza della birra artigianale si consumava in GDO, era un conto, ora lo scenario rischia di cambiare.
E qui entra in gioco il ruolo dei distributori di birra artigianale, selezionatori e rivenditori B2B, preziosissimi alleati fino a febbraio, forse, domani, fardello in una guerra al ribasso temibile.
I clienti
Siamo uomini, non robot (almeno per ora). Non funzioniamo per interruttori. Gli influssi psicologici subconsci della quarantena potrebbero rivelarsi, quando cominceremo a uscirne, decisamente più condizionanti di quanto riusciamo a realizzare adesso che ci siamo dentro: non funzioniamo reagendo istantaneamente all’accensione e allo spegnimento di un interruttore.
Non è peregrino, quindi, ipotizzare che nel momento in cui le restrizioni attuali saranno sospese una buona parte del pubblico dei locali birrari non tornerà in uno schiocco di dita ad uscire e frequentare i suoi posti del cuore; ma che al contrario alcune modifiche dei modelli di consumo che stanno intervenendo in questo periodo possano diventare permanenti o, comunque, duri da abbandonare.
Gli eventi
Sono per eccellenza i momenti caldi in cui il pub lavora, sono il pretesto che spinge persone a muoversi da ogni parte della città (o d’Italia, o del mondo, in base all’entità della manifestazione) per ritrovarsi in un luogo che diventa, per qualche giorno o qualche ora, tutto il centro della scena.
Abbracci sono scambiati, bicchieri condivisi, mani strette e file per pisciare, a 5cm uno dall’altro, affrontate con la paura di non vederne la fine tutti asciutti. Non so come questo modello possa evolversi, non mi so dire se e quanto possa ancora esistere né tantomeno come: ma considerando che festival e tap takeover sono i momenti più autentici e meravigliosi del mondo della birra artigianale, al momento non ci voglio nemmeno pensare.
Il modello di business
È bello: quando la crisi si è palesata, il settore birrario è stato tra i primi a reagire, e con forza. Sarà per via della grande sinergia tra produttori, distributori e bevitori. Sarà che in questo mondo siamo tutti un po’ ragazzi, e un po’ cazzoni, e ci adattiamo: ma in un florilegio di gruppi Facebook, consegne a domicilio coi furgoni della distribuzione riadattati a pony express, andirivieni di corrieri dagli ecommerce e growlers in delivery non c’è stato un momento in cui ci siamo trovati sforniti e assetati, in cui abbiamo pensato di comprare una Peroni anziché la nostra IPA preferita.
Certo, non tutti si sono mossi subito, qualcuno non si è mosso per nulla: ma ancora una volta, siamo uomini ed ognuno con priorità e visione, pur se raccolti grossolanamente in un comparto.
Certo è che, un po’ per esigenza, un po’ per comodità, il consumo birrario domestico ha scoperto nuovi orizzonti di ampiezza e facilità che stenteranno ad essere abbandonati; e torneranno utili agli esercenti di locali per rimodulare la propria offerta e trovare modi nuovi di proporsi.
La cultura
Uno dei vizi peggiori di chi come me è nel mondo della birra artigianale, è di parlare come se al mondo non esistessero prodotti d’altra natura: è una pecca derivante dalla visione limitata che abbiamo dall’interno, ma fuori dalla bolla il mondo è assai diverso. In Italia la percentuale di chi, tra i bevitori di birra, consuma solo prodotti artigianali si aggira intorno al 3%: il restante 97, cioè letteralmente tutti, compra le casse di Heineken al super.
È su questo tipo di avventori, quando casualmente si avventurano al pub, che l’addetto alla mescita può intervenire; aprendo spiragli nel velo di Maya mentre cerca di accattivare la loro curiosità spiegando e raccontando quanto è varia, in potenza, la bevanda. Qualcuno si interesserà e comincerà a bere diverso, molti altri no: ma è così che è successo finora. E adesso, che andare al pub sarà più difficile per chi già ne ha il bisogno, come si potrà portare il mondo della birra artigianale a contatto con persone che non ne conoscono l’esistenza? E sempre parlando di cultura, quali strade prenderà la cultura del servizio, della buona spillatura, del giusto bicchiere, della freschezza; come si esprimerà la cultura umana dei volti e dei personaggi che popolano questo mondo, talune volte stretto e settario e provinciale, tante altre (molte di più) ricco di ispirazione e divertimento e colore?
Propendiamo, personalmente, per ipotizzare un crescente numero di servizi tailor made sulla persona ed occasioni di incontro e formazione digitale: ma le strade, in questo settore come negli altri, sono tutte da inventare, i sentieri da aprire, le selve, un’altra volta, da sfoltire.
Non ci resta che aspettare e sorvegliare stretti i sestanti: troveremo una direzione, ne sono sicuro.
E speriamo di trovarci, in qualche modo, di nuovo al bancone; guardandoci negli occhi con la pinta in mano mentre ci chiediamo, col sorriso sugli zigomi: “ti ricordi di quando eravamo a casa a domandarci che ne sarebbe stato del pub, e quanto ci sbagliavamo?”