Il periodo non è certo dei migliori per pensare a nuove aperture, soprattutto nel nostro Paese che si districa tra un litigio, un DPCM e l’altro. Pietro Macellaro però annuncia non una, ma ben due nuove pasticcerie a New York: a brevissimo avrà uno store a Williamsburg, quartiere di gran tendenza a Brooklyn, a pochi passi dal famoso ponte. Poi, probabilmente in gennaio, aprirà in grande stile a Manhattan.
Il Cilento è una mia grande passione, vedi caseifici e racconti dei gelatieri del territorio, come Di Matteo a Torchiara e Crivella a Sapri: non ci sono nata, ma mi sento un po’ figlia adottiva. Non parlo delle copertine patinate e delle coste, ma di questo budello d’Italia fatto da nomi impronunciabili e storie decisamente singolari. Ad esempio, alzi la mano chi ha sentito almeno una volta nominare Piaggine, paesuncolo di 1208 abitanti in provincia di Salerno. Alzi entrambe le mani chi ha sentito nominare solo “Piaggine” senza aver collegato almeno una volta (anche solo per sentito dire) il nome Pietro Macellaro, pasticciere.
La sua “pasticceria agricola”, arroccata in questo borgo sperduto, ha un che di provocatorio: la mise en place dei dolci prevede coltello e forchetta – per iniziare sin dal taglio l’esperienza del dolce – e piatti di porcellana, passando poi al costo: in media, un dolce servito a Piaggine costa 9,00 euro.
Ciò non toglie che Pietro Macellaro sia una nostra vecchia, seducente conoscenza per quanto riguarda i panettoni: ricordo ancora i sentori di miele selvatico ed i grassi perfettamente bilanciati, un Sacro Graal del lievitato ottenuto da tre fasi di lievitazione, un gioiello alto e color caramello, con l’uvetta che rilascia oli essenziali che impreziosiscono la pasta ed ungono golosamente le dita. Tanto che questo panettone, dal prezzo sicuramente sostanzioso ma non più costoso di tanti altri blasonati, è considerato un must have per chi si intende di territorio.
Siccome ci fa piacere parlare di qualche apertura in mezzo a tutte queste chiusure, abbiamo intervistato Pietro Macellaro per sapere cosa si prova, da Piaggine (che non è certo una grande città), a finire a New York.
– Ciao Pietro. Cosa si prova, ora, ad approdare a Brooklyn?
“Partiamo da un concetto di base: il mio prodotto è particolarmente apprezzato all’estero, soprattutto nei circuiti luxury restaurant e simili. Per quanto riguarda New York, sono circa due anni che lavoro a questo progetto; la passione e l’intesse per la Grande Mela è nata da una collaborazione lunga avuta come consulente per il settore dolce in alcuni ristoranti italiani di fascia alta nella Grande Mela. Non ero mai stato a New York! Ho avuto modo di approcciarmi al modo di fare business, alla cultura americana vista ovviamente in chiave italiana…
Il progetto attuale è seguito da altri soci italoamericani; i miei amici Cristiano Rossi e Adriana De Martino, noti imprenditori salernitani, hanno voluto moltissimo che il progetto della Pasticceria Agricola Pietro Macellaro volasse a New York. Spero tra una decina di giorni, apriremo il primo punto vendita a Brooklyn, con precisione a Williamsburg, un posto molto pittoresco. A gennaio, situazione pandemica permettendo, saremo attivi col secondo punto vendita più laboratorio a Manhattan, proprio di fronte al NoMad. Tutto ciò sarà con l’entusiasmo e la collaborazione con il marchio Borsalia (ndr caffetterie già presenti sul territorio americano), che curerà la parte “salata” del progetto”.
– Sicuramente, avrai studiato il cliente americano: cosa ricerca?
“Come dicevamo prima, non parto certo digiuno di “esperienze estere”, anzi: New York è una megalopoli molto vicina alla cucina italiana, Hong Kong è sì una megalopoli, ma di stampo orientale: se vuoi sopravvivere lì, ti devi comunque adeguare. In comune, hanno questo: un tenore di vita altissimo, una forbice sociale molto più ampia della nostra. New York, poi, ha una propensione alla curiosità gastronomica davvero invidiabile, ho avuto modo di studiarli grazie alle proposte di dessert fatte per alcune realtà americane. La pasticceria italiana a New York è, francamente, molto limitata a proposte datate: pasticcerie di stampo italiano, un po’ vetuste. Sento più vicini a me – nel senso, più vicini come competitor – gli esponenti della pasticceria e cioccolateria francese a New York, che sono numerosi, alla moda, svegli e capaci di interpretare le voglie dei newyorchesi. Ecco, la mia vera sfida sarà essere il primo a proporre per tutto l’anno la pasticceria italiana contemporanea, cioccolato compreso, così come fanno i francesi”.
– Ci saranno prodotti fatti esclusivamente per gli Stati Uniti? Prodotti che non vedremo qui in Italia e viceversa (prodotti che gli americani non vedranno?)
“Ho in mente un lavoro sul panettone, sicuramente, che sarà proposto per la prima volta negli Stati Uniti in una formula che loro non hanno ancora avuto modo di apprezzare da altri. L’altro grande core business delle mie pasticcerie sarà il cioccolato, una delle mie “fissazioni” e – così dicono gli altri – una delle cose che faccio davvero bene. I francesi sono grandi maitres chocolatiers e riescono a proporre il loro prodotto, di altissima qualità, ad un prezzo giusto: una sola pralina, piccola, costa un minimo di due dollari. La vera sfida sarà quella: creare un prodotto da cacao grezzo, non lucido, non deodorato (quindi un prodotto quanto più possibile “vero”) e proporlo ad un prezzo appetibile. Parliamo di una piazza, quella statunitense, che considera il cioccolato ai limiti di un superfood, di un cibo con qualità fuori dal normale. Cioccolati che in Italia fatichiamo a vendere a 50 euro al chilo, negli Stati Uniti vanno anche a 350 euro. Come dicevo prima, l’americano è curioso e disposto a spendere.
Proprio per quanto riguarda il cioccolato, ho studiato due proposte che strizzano l’occhio all’American tasting: una pralina con arachidi e caramello salato, con cioccolato della provincia di Saint Martin, Perù. Anche per quanto riguarda i dolci al cucchiaio, ho messo a punto una tartelletta con arachidi, mandorle e caramello salato. L’obiettivo – visti i tempi che corrono – sarà proporre dolci eleganti, essenziali ma allo stesso tempo rievocativi, senza molti fronzoli”.
– Come ti organizzerai per la produzione, lo stoccaggio, le spedizioni… ma anche la formazione del personale? Ciò che immaginiamo sarà a metà tra una boutique del dolce ma anche una sorta di posto dove chi dovrà assistere il cliente, dovrà essere altamente qualificato.
Purtroppo dovrò fare una sorta di “apertura in smartworking“, essendo impossibilitato ad andare fino a New York, ma sono in ottime mani: a guidare tutto ci saranno due professionisti che ho avuto modo di formare durante le mie consulenze oltreoceano.
Per quanto riguarda l’invio dei dolci, abbiamo messo a punto due modalità di spedizione: una, via nave, quindi con container anche sottozero, per ciò che può essere abbattuto e completato in loco con guarnizioni ed altro opportunamente fornite: infatti, il negozio che aprirà a Manhattan avrà anche un laboratorio per le rifiniture. Per quanto riguarda, invece, il “freschissimo” come panettoni e cioccolato, abbiamo messo a punto spedizioni via aerea ogni settimana, così da avere il prodotto fresco sempre sul banco. Grazie a questi invii settimanali, non ho avuto bisogno di modificare in alcun modo la ricetta del panettone per allungarne la shelf life, come invece fanno molti altri”.
– Quanto costerà il tuo panettone negli USA? Hai previsto dei gusti solo per il loro mercato?
(non me l’ha voluto dire, ndr)
“Tra 10 giorni potrò dirtelo. Stiamo ancora facendo alcune valutazioni di mercato, ovviamente tutto sarà calibrato sul costo della vita newyorkese, però posso già darti alcuni dati indicativi… ad esempio, un dolce al cucchiaio potrebbe stare circa 13 dollari per essere concorrenziale sul mercato, un croissant sui 4,00/5,00 dollari, ma sono ancora ipotesi. Per quanto riguarda il panettone, sarà sempre quello, con la medesima ricetta, ma sarà altamente personalizzabile grazie al progetto panettone che avvieremo”.
– E allora parlaci di questo tuo “progetto panettone” per gli store americani. La situazione panettone negli States è strana, ci sono ovviamente grandi pasticcieri come te ed altri, ma una grande fetta di mercato è conquistata da aziende straniere che sfruttano l’Italian Sounding. Come speri ti andrai a posizionare?
“Sono già diversi anni che vendo il mio panettone negli USA, ovviamente il circuito privilegiato è quello luxury: gli statunitensi non sono abituati ad avere il panettone tutto l’anno, anche i miei colleghi o altre aziende, vendono il panettone stagionalmente. Voglio rivoluzionare questa idea, proporre il panettone tutto l’anno a New York ed in ogni momento della giornata: a colazione, come dessert, come degustazione assoluta.
Il panettone sarà sempre fresco grazie alle spedizioni settimanali, come dicevamo, e verrà posto in degustazione accompagnato da oltre quaranta tipi di creme e confetture che produco autonomamente a Piaggine, nella mia azienda agricola. Quello che mi propongo di fare è sottoporre all’attenzione ed ai gusti del cliente un’esperienza di panettone sempre diversa: un giorno verrà ad assaggiare quella con la marmellata di fichi, un altro giorno quello con accompagnamento di crema di nocciole. Ci sarà un’alta personalizzazione del panettone e soprattutto sarà a loro disposizione tutto l’anno: un concetto che qui in Italia abbiamo iniziato a “masticare” da poco, ma che negli States – per quanto il panettone sia amato e sfruttato nel suo Italian sounding – non è affatto concepito, essendo questo lievitato relegato soltanto alle festività ed alla vendita stagionale”.