Nowhere deriva dall’unione di no–where, traducibile in italiano con “in nessun luogo”, “da nessuna parte”. E però, a fare i Piero Bartezzaghi della situazione, la stessa parola si può spezzare in now–here, ovvero “qui e ora”. In questo gioco di parole forse si ritrova il senso di Nowhere, – Coffee & Community – caffetteria specialty in zona Sant’Ambrogio a Milano: un non-luogo di stampo internazionale, convergenza di lingue e culture diverse, chicca miscellanea di contaminazioni gastronomiche, artistiche e musicali, sede confortevole da cui collegarsi in remoto ai luoghi, quelli veri, di studio e lavoro (punti bonus per la password del WiFi, gli appassionati capiranno).
Ma Nowhere è anche il qui e ora di Andrea Prayer e Francesca Cavazza, i giovani titolari che con creatività e risorse social (e sociali) hanno reso in pochi mesi questo scintillante rettangolo rosa millennial una meta imperdibile per estimatori di specialty coffee, golosi di pasticceria, entusiasti divoratori di colazioni e brunch e, in generale, tutti coloro che amano affiancare il “di qualità” ai prodotti che consumano.
Il locale
La categoria di locale cui Nowhere più si avvicina è il cosiddetto “Aussie cafe”: un concept nato in Australia a partire dagli anni Sessanta di caffè con cucina. L’enfasi su tazzone formato scodelle di americano, pour-over e flat white, ingredienti healthy e coloratissimi (ave all’avocado) e, in generale, un alto coefficiente di instagrammabilità ne hanno decretato il successo e la proliferazione in tutto il mondo. A New York la realtà è già ben consolidata dal 2014 con tanto di catena bandiera (Bluestone Lane) e una serie infinita di minuscoli indirizzi dove, almeno a colazione, è estate tutto l’anno – se vi capita, consigliatissimi Merriweather (West Village) e Good Thanks (Lower East Side).
E dunque per Milano Nowhere è effettivamente il Future Coffee Shop (come promesso dal nickname) che mancava: un locale colorato e arioso da tutto il giorno, in cui sorseggiare un ottimo caffè accompagnato da torte e pasticcini fatti in casa, avocado toast, chia bowl e banana bread. E non dimentichiamoci del secondo sottotitolo Coffee and Community, insieme mission del locale, diventato luogo di ritrovo di una clientela giovane e internazionale (siamo praticamente nel campus dell’Università Cattolica), e testimonianza delle intelligenti collaborazioni che ne caratterizzano l’offerta e l’atmosfera. A partire dalle torrefazioni artigianali D612 (Firenze), Friedhats (Amsterdam) e Right Side (Barcellona), fino alla selezione di libri e riviste di viaggi e design (Verso Libri) e vinili (Backflip Records).
A completare il tutto, l’angolo shop. Oltre a biscotti (tre tipi di cui uno veg) e granola gluten-free fatta in casa – peraltro confezionati negli adorabili barattolini in vetro con logo perché come sempre l’occhio (e il brand) vuole la sua parte – anche qui fioccano le collaborazioni. A partire dal caffè, ovviamente. Poi ci sono i tè sfusi e in bustina (teapigs.), i succhi e le conserve (Marco Colzani), il sidro (Crocizia), le birre artigianali (Crak Brewery), le patatine in busta (Superbon) e anche – consentitemi un pizzico di orgoglio campanilistico – il mitico Biancorosso di Carlotto, liquore a base di erbe valdagnese DOC scelto come mixer da aperitivo in abbinamento al caffè.
Da Nowhere abbiamo deciso di concederci una doppia visita: un po’ per lo scrupolo del recensore, un po’ per testare due momenti topici della giornata (merenda e colazione/brunch), compresa la già richiestissima Tonda, da ordinarsi il giorno prima per essere certi di non rimanere delusi.
Lo specialty coffee
Il caffè qui viene proposto in tutte le sue varianti a partire dalla base espresso (1,30-1,60 euro), fino alle estrazioni cold brew e in filtro V60 e aeropress (3-6 euro). Anche i novellini di specialty coffee e scenografici filtri, il personale è più che disponibile (basta chiedere direttamente al titolare Andrea o a Luciano Bramante, già barista a Cafezal in via Solferino), al netto dei pratici cartellini esplicativi con orini, tipologie, destinazioni d’uso e caratteristiche organolettiche dei caffè.
Con all’attivo due cold brew (Bolivia e Colombia), un japanese monorigine etiope (sorta di pour-over servito caldo da versare sul ghiaccio per il raffreddamento istantaneo) e iced latte all’avena, possiamo dirlo: un non-luogo fluido e contaminato diventa il qui e ora perfetto per raggiungere mete lontane. E lo fa attraverso i sapori, aromi e stili nitidi e ben definiti che si sprigionano dal bicchiere, ora intensi ora più delicati, raccontando storie di clima, terroir, persone e maestria tecnica. Altro che i fondi di caffè bruciati del bar sotto casa.
Il menu
Altrettanto interessante è l’offerta gastronomica, curata personalmente da Andrea che, oltre alle lingue straniere, ha alle spalle una specializzazione nella pasticceria. Di nuovo si ritrova la tematica del viaggio, con ricette e ingredienti di ispirazione anglosassone, asiatica e mediterranea. Il menu è ampio e suddiviso in specialità da colazione e all day dolce e salato che tende a seguire le stagioni (da un paio di giorni hanno debuttato i nuovi piatti autunnali e l’invito è sempre quello: stay tuned).
Noi decidiamo di buttarci sui classici. Merenda decisamente healthy e cruelty-free con banana e carrot bread (4 euro), i ciambelloni della nonna (americana) qui in versione vegana e a basso contenuto di zucchero, umidi, materici e pregni di frutta e verdura. Meno semplice scegliere fra le crostatine, monoporzioni lucide e in technicolor decorate con frutta fresca di stagione. Optiamo per la yuzu tart con meringa morbida, bacca di sansho e sesamo nero (5 euro) caratterizzata da decisa ma piacevole acidità mitigata da una dolcezza accennata e non invadente.
Il brunch del mattino successivo, sempre accompagnato da caffè e succo di frutta artigianale, lo dividiamo tra dolce e salato. Da una parte dunque le eggs florentine su crostone di pane (10 euro) che navigano in una generosa salsa hollandaise insieme all’immancabile avocado e allo spinacino; e la caponatina “della mamma” servita tiepida (5 euro), riprova che i peperoni, se cucinati nel modo giusto, vanno bene anche a colazione. Dall’altra il coconut chia pudding (6 euro), opzione vegan di ispirazione messicana con latte di cocco, mango e goji, forse il piatto meno entusiasmante che tuttavia viene ampiamente riscattato dalla granola della casa.
Approfondimento a parte merita la Tonda (1,50-2 euro), signature pastry della casa su cui avevamo puntato gran parte delle aspettative. Consistenza e sapore burroso che ricordano molto il panettone, si tratta di una brioche a triplice lievitazione (lievito birra e pasta madre) impastata con soli tuorli d’uovo e burro. La trovate (se la trovate) vuota o farcita con le creme spalmabili di Colzani o classica crema fatta in casa.
L’opinione
Nowhere è una bella ventata di colore e freschezza al panorama spesso cupo dello specialty coffee, che spesso offre poco oltre al caffè da filiera controllata. Direte voi che un caffè come si deve basta, ma forse non avete provato certi muffin decongelati o non avete trascorso più di tre ore in una caffetteria “artigianale” con un certo languorino.
La contaminazione di più elementi (non solo gastronomici), l’atmosfera indie e vagamente anni Ottanta, alle esigenze “smart” della clientela, lo rendono un luogo sui generis a Milano. Soprattutto, rispetto agli altri indirizzi della stessa categoria, Nowhere riesce a distinguersi per la cucina, strizzando l’occhio ai vegani e a tutti gli appassionati dell’artigianato e del naturale.
Informazioni
Indirizzo: Via Caminadella 15, 20123 Milano Mi
Sito web: www.nowherecafe.it
Orari di apertura: martedì-venerdì 8.30-18; sabato 9.30-18; domenica 9.30-14; chiuso il lunedì.
Ambiente: luminoso, indie
Servizio: cordiale, preparato, disponibile