Questa mattina arrivo a Napoli in visita a un amico.
Ci vediamo all’aeroporto: sono le otto di mattina, abbiamo tutti e due gli occhi pesti di sonno e la voglia di parlare latita. Così saliamo in macchina e dirigiamo verso il centro.
Lui sa cosa cosa fare.
La cosa giusta è andare diritti da Attanasio, la pasticceria vicino alla stazione che sforna in continuazione sfogliatelle. Ricce o frolle, secondo i gusti. Un euro e venti cadauna, senza distinzione. Lui prende una riccia, io una frolla: una spolverata di zucchero e in un istante siamo in pace con il mondo.
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E io mi sento immediatamente, fortissimamente, intensamente, inequivocabilmente a Napoli.
Non c’è niente che mi faccia sentire in un posto più dei sapori.
Viaggio -come probabilmente tutti i golosi- soprattutto con la gola: se sono a Roma cerco prima la miglior carbonara piuttosto che la vista sul Colosseo; se sono a Venezia, non corro in piazza San Marco ma in un bacaro; a Palermo la cattedrale viene dopo Tanino lo stigghiolaro.
Non so se sia giusto o sbagliato, è semplicemente così: il mio senso più sviluppato è il gusto.
Lo uso per tutto: per scegliere le persone che mi piacciono (non voglio intendere che le assaggio, ma diffido degli inappetenti), per decidere i posti da visitare.
Conosco poco Napoli: ma vista da Attanasio -che è in quartiere super popolare, tutt’altro che turistico- è una città meravigliosa.