Ne sono passate di pizze nei forni da quando nel 2014 il New York Times citò Ciro Salvo e la sua pizzeria 50kalò come “nuovo concorrente per la miglior pizza napoletana”.
Per noi di Dissapore, la pizza migliore d’Italia la faceva già nel 2013. E non solo: ricordiamo anche una magistrale, accademica pizza fritta, che va di diritto nella top ten della pizza fritta napoletana.
La sua è una delle pizzerie più belle, raffinate della città, dove sedersi e attendere che vi sfili davanti un giocatore della Società Sportiva Calcio Napoli (affezionatissimi clienti), oppure qualche politico che alla cucina degli chef preferisce quella dei pizzaioli.
Ma soprattutto, che vi arrivi una pizza fumante, carica di dolcezza, leggera e digeribile grazie all’idratazione che Ciro celebra come una religione da quasi vent’anni.
50kalò –un nome, un programma che vi spiegheremo dopo– è così bella e buona che la Guida Michelin l’ha menzionata nel ristretto gotha delle pizzerie meritevoli.
Ma vi diremo di più, se questo non vi ingoloscisce abbastanza: da qualche settimana, Ciro Salvo ha anche insaccato la doppietta, con lo spin off della pizzeria: duecento metri più in là c’è 50panino, hamburgeria con carni iper-selezionate e bun (i panini soffici per l’hamburger) preparati su ricetta esclusiva del nostro.
Così, dopo aver preventivamente posizionato la fibbia della cintura, abbiamo visitato (di nuovo) 50kalò, e per la prima volta 50panino.
Who’s who: Ciro Salvo
Appena rientrato dall’ultima edizione di Identità Golose, “Ciro Salvo” è un nome che ha la pizza nel DNA: classe 1977, fratello di Francesco e Salvatore della omonima Pizzeria Salvo a San Giorgio a Cremano, si forma nella pizzeria di famiglia che prima era a Portici.
Una piccola parentesi, poi, in quel di Torre Annunziata, città di pastifici e panificatori (vedi: Pastificio Setaro, tanto per dirne uno) dove nella pizzeria Massè svolge con la passione di un esule in terre straniere la diffusione del verbo pizza.
Farlo ora è semplice, visto che anche per quella lingua di sabbia e mare che va da Portici fino alla penisola sorrentina si è diffusa la pizza contemporanea, ma fino a qualche anno fa significava stare al confino.
Da Massè Ciro Salvo ci arriva già formato, quel banco di prova lo fa apprezzare così tanto da riportarlo nel magma fluorescente della nuova pizza napoletana.
Tra il lavoro dietro al banco e gli investimenti, questo supereroe della pizza non si fa mancare nemmeno una folta schiera di studenti, visto che è anche insegnante e consulente.
Chef dell’impasto, è stato l’unico pizzaiolo ad essere chiamato alla corte di Eataly, per la grande cena stellata del decimo compleanno. Insomma, infornare pizze accanto a Massimo Bottura che forgia tortellini, dev’essere stata una bella emozione.
Giusto per fare un po’ di inciucio, o gossip che dir si voglia, il pubblico di Dissapore attratto dal sesso maschile troverà certamente di suo gradimento Ciro Salvo: è proprio quello che si dice ‘nu bello waglione.
Il posto
Abbandoniamo un attimo quei luoghi tutti funiculì funiculà che ci (mi) piacciono assai, caliamoci nell’identità elegante di Piazza Sannazzaro: siamo a Mergellina, in mezzo una gigantesca rotonda che da un lato ti porta verso Fuorigrotta; dall’altro, ti riporta verso le terre conosciute, e soprattutto, verso il mare.
50kalò è stata tra le prime pizzerie a dare dignità gastronomica a una zona, come quella del lungomare, che fino a quel momento non aveva brillato. A oggi abbiamo un fioritura di pizzerie d’eccellenza che negli anni Novanta (e inizi Duemila) non avremmo trovato.
Ciro Salvo, insieme al Gino Sorbillo di Lievito Madre al Mare, appena a qualche passo di beatitudine marittima più in là, sono stati capofila dei vari “Vesi Pizza Gourmet” (che ha aperto da pochi giorni, davvero a poca distanza da 50kalò), degli “Eccellenze Campane al Mare”, insomma: di tutti coloro che si propongono di sfaldare la convinzione che, in quel tratto di Napoli, la pizza non si sa fare. E soprattutto, non si sa vendere.
50kalò
50kalò, nome che è crocevia di delizia e pensieri tra storia, scienza e cabala.
Improvvisamente ci ritroviamo nella Magna Grecia: i pizzaioli utilizzano, nel loro gergo incomprensibile ai più (derivante dal greco, appunto) la parola “kalò” per dire buono, e “skatà” per dire cattivo.
Il numero 50, nella smorfia napoletana, è ‘o ‘ppane, il pane, l’impasto.
50kalò è, tout court, “l’impasto buono”.
Un investimento da circa 500mila euro, “la cifra giusta se si vuole aprire un locale di successo”, utilizzando le parole di Ciro.
L’idea è diventata realtà anche grazie a una cordata di imprenditori napoletani, profondi conoscitori della ristorazione, che avevano previsto la piega un po’ modaiola che stava prendendo la pizza.
Un numero quasi spropositato di coperti: 180, a rotazione continua, per una pizzeria che pare un casinò di Las Vegas, la città che non dorme mai. Anche l’insegna fuori, sembra un po’ lo strillone di un cinema anni Cinquanta, bianco su nero, classico.
Se centottanta sono i coperti, le brigate di sala e cucina raggiungono un numero cospicuo di addetti: cinquantacinque, mediamente giovani, con tanto di staff ad accogliervi all’ingresso per annotare la prenotazione, in attesa che si liberi il tavolo.
Se l’esterno è una veranda ben tenuta, gli interni giocano sui toni del bronzo e del legno, con lampadari rossi e luce soffusa, visto che durante il giorno gran parte dell’illuminazione proviene dalle vetrate. Alle pareti, pochi elementi caratterizzanti, l’ambiente risulta nel complesso elegante, leggero, godibile.
E quanto pizze si fanno, da 50kalò? Tante, tantissime, a contarle non ci riesci, così tante che è stato installato un secondo forno speculare al primo. Millecinquecento, nei giorni che si avvicinano al weekend; un’ intera settimana può contare ben 7500 pizze.
Menu e prezzi
il menù è vasto eppure sobrio, articolato e soprattutto leggibile. Le pizze in carta sono 22, tra imperituri cavalli di battaglia (come la 50kalò, marinara con scarole) e chicche come la pizza con salsiccia e fagioli cannellini presidio Slow food.
Gli sfizi fritti contano frittatine di pasta e crocchè di patate, entrambi a un euro e cinquanta. Le pizze fritte, in versione ripieno a mezzaluna e montanara, viaggiano sugli 8.50 euro.
La pizza più economica è la Marinara, che non lesina in qualità, e costa cinque euro. Le pizze più costose sono quelle speciali, come la Pizza dell’Alleanza a 9,50 euro, quella più cara di tutte.
La carta dei vini è corposa, stiamo sui 30 nomi, con netta preferenza per quelli campani: si può degustare un ripieno fritto insieme a un Per Eva Bianco Costa d’Amalfi DOP 2009, per poi saltellare verso una Margherita, abbinata ad un Piedirosso Campi Flegrei 2010 Agnanum, e per concludere la 50kalò, marinara con scarole, con un Furore Rosso di Marisa Cuomo.
Insomma, ci si diverte.
La spesa media per fritto, una pizza e calice di vino tra quelli disponibili per la mescita, si aggira intorno ai 18 euro.
I due euro per il coperto ci sembrano tanti, bisogna dire tuttavia che la sensazione di potersi rilassare, in una pizzeria napoletana di quelle super frequentate è rara.
Pizza
È un impasto segretissimo quello della pizza di Ciro Salvo: preparato in solitaria nel laboratorio grande quanto un appartamento (!) dietro la pizzeria. Durante la preparazione non entra nessuno: ci abbiamo provato, ma è off limit.
Una miscela di farine personalizzate (di media forza, è l’unico dettaglio trapelato), idratazione altissima e 24 ore di lievitazione che scendono a 12/18 ore durante i mesi estivi: l’impasto è protagonista assoluto della pizza, e gli ingredienti della farcitura “accompagnano”, ingentiliscono o rafforzano il gusto.
Siamo lontani dalle logiche del canotto, niente cornicioni pronunciati da fotografare: la pizza risulta bella così com’è, tutta intera, diametro medio-grande.
Soffice, morbida, altamente digeribile: in effetti da 50kalò un paio di pizze potresti mangiarle senza sentire la botta di carboidrati molesta, e il sonno.
Si parte con il ripieno (calzone) fritto: una mezzaluna di dimensioni abnormi, molto maculata per effetto dell’impasto maturo così ricco di zuccheri semplici da formare quasi una “sfogliatura” in superficie e un orgasmico effetto croccante.
La farcitura, ancora una volta, è la migliore tra quelle in circolazione: ricotta ruvida e saporita, provola affumicata davvero e non chimicamente, ciccioli di maiale di Mugnano del Cardinale, saporiti e per quanto possibile poco grassi, quasi fossero chips di porco dal sapore delicato.
La Margherita di Ciro Salvo è un grande classico, roba da knock out.
Pomodoro San Marzano Dop biologico Casa Marrazzo, abbondante fiordilatte di Agerola, olio Colline Salernitane dei Fratelli Di Giacomo.
E’ ‘nu muorzo, un morso che sa di estate, di fresco, non appesantisce il palato, con il pomodoro che più zuccherino di così non si può.
Morbida, e con gli ingredienti –Ciro Salvo dice non più di tre differenti su ogni pizza– che accompagnano l’impasto.
50panino
Se il numero 50 ha portato fortuna trecento metri più in là, di sicuro suona bene anche qui. Dopotutto, anche in Viale Gramsci si disquisisce di impasti e panificazione, nel formato panino però. All’italiana.
Anche qui il socio investitore è lo stesso di 50kalò, anche qui veleggiamo su cifre alte, 500mila e oltre, per fare il locale.
50panino è ancora più vicino al mare, un posto molto elegante per essere “soltanto” una hamburgeria.
Metà diner americano pettinato, metà steakhouse newyorkese: tavoli grandi e circolari con sedute in pelle, frammisti a tavoli più intimi, sedute in legno, poltroncine e divanetti lunghi. In totale, circa cento posti a sedere.
Tanti collaboratori, tra sala e cucina ne contiamo una ventina.
Menu e Prezzi
Anche in questo caso menu ampio che gioca con grandi classici italiani e qualche azzardo americano. Frittatine di pasta, crocchè come per la pizzeria, a cui vanno ad aggiungersi le polpettine di carne chianina, la stessa dei burger.
Ancora chianina, sempre chianina, sotto forma stavolta di tartare battuta al coltello, mentre ci si sposta negli USA con le ribs di maialino nero casertano, laccate con salsa barbecue (da mettere a punto, un filino meno dolce non guasta).
C’è anche il carpaccio di manzo, per chi vuole tenersi leggero.
Si parte da 1.50 euro degli sfizi fritti, passando per i 7.50 euro delle polpettine di chianina, fino agli 11 euro del carpaccio.
Patatine tagliate a mano e fritte in diverse combinazioni, con fonduta di formaggi a parte, da versare self service in un impeto di soddisfazione. Prezzi a partire dai 4.50 euro per una classica chip con salsiccia di maialino nero casertano e fonduta di formaggi misti.
Come detto, sono undici i panini in carta: tutti con lo stesso pane messo a punto da Ciro Salvo, a cui vanno aggiunti tre tipi di sfilatino Cafoncello, pane allungato a sfilatino tipico della cucina partenopea. Si parte da 8.50 euro per il Classico, fino ai 12 euro per quello con il pregiato burger di agnello.
Tutti sono accompagnati da contorni della tradizione napoletana.
La carta dei vini, qui da 50panino, è ancora più ampia e conta quasi 50 etichette; corposa anche la carta delle birre, con una predilezione per quelle di Franconia, Baviera e Belgio.
I due euro di coperto, implacabili, ci sono anche qui.
In media, per uno sfizio fritto, un panino e una birra chiara media si spendono sui 20 euro; non poco, ma il servizio è curato e siamo in un certo tipo di locale, a un passo dal lungomare più bello del mondo.
Sbircioando gli altri tavoli abbiamo notato che i clienti di 50panino mangiano, e pure tanto, altro che 20 euro.
Noi non siamo state da meno.
Panino
Anche in questo caso il protagonista è l’impasto. Ciro Salvo ne ha messo a punto la ricetta, la farina utilizzata è di Molino Caputo di tipo 1. La produzione della ricetta è affidata al Panificio Malafronte di Gragnano, specializzato nella preparazione di lievitati conto terzi.
Il panino è molto colorato e “pieno”, di dimensioni umane rispetto ad altri in circolazione.
Crosticina dorata e invitante in superficie, trasuda artigianalità. Morbida la mollica ma anche resistente, alla prova del morso regge alla grande: niente spappolamenti malgrado il sostanziosa ripieno.
I panini classici sono farciti con burger di chianina oppure di maialino nero casertano, preparati appositamente da Io Sono la Chianina, boutique della carne che a Napoli e in Campania è una vera garanzia.
La carne proviene da filiera chiusa e controllata, e i burger vengono pressati soltanto poche ore prima di essere impiegati. Presente un insolito burger di agnello, oppure di pollo biologico di Tuscia, per chi mangia carne bianca.
Alcuni dei panini sono adattamenti dei grandi classici della pizzeria; ritroviamo proprio 50kalò, versione panino della nostra marinara con scarole: qui si evolve in burger di chianina, provola di latte nobile, scarole ripassate in padella con capperi di Salina e pomodori semi-dry.
Un panino che, nonostante la farcitura abbondante, ci è sembrato molto ordinato, equilibrato. Forse troppo, a noi piace essere scostumati su certe cose. E quindi, perché non provare un Parmigiana?
Questa volta il bun è uno scrigno irresistibile, una bomba a mano variopinta: burger di chianina, fiordilatte da latte nobile, fonduta di Parmigiano Reggiano DOP 36 mesi, crema di melanzane, ragù napoletano e basilico.
Il ragù è delicato (!), profumato di basilico, una crema insieme alle melanzane.
Il pane accompagna molto bene, è sostegno e sapore al tempo stesso, per una di quelle esperienze in cui non t’importa di macchiarti le mani, la camicia, niente.
Come dovrebbe essere mangiare un panino, dopotutto. E chi ha detto che non si può gustarlo in un posto fatto bene, dall’aria vagamente borghese come 50panino?
[Crediti | Link: Dissapore | Immagini: Rossella Neiadin]