E così, a settembre 2017, Starbucks finalmente arriverà a Milano.
Non appena terminato di perfezionare l’accordo tra il gruppo Percassi, partner di Starbucks per l’Italia, e il colosso immobiliare Blackstone per l’acquisizione di uno spazio nell’ex Palazzo delle Poste in Piazza Cordusio – che una ristrutturazione da 20 milioni di euro trasformerà in uno spettacolare complesso con negozi a piano terra e uffici di pregio al piano superiore – la catena di caffè della sirena verde arriverà in Italia, con molta probabilità nel mese di settembre del prossimo anno.
La più grande catena americana di caffetterie nata a Seattle dall’idea di tre insegnanti e poi venduta a Howard Schultz –che l’ha portata a essere una delle più grandi realtà imprenditoriali a livello internazionale con l’apertura di ben 27.000 punti vendita in tutto il mondo– approda quindi, dopo ben 34 anni, al luogo da cui tutto è iniziato.
Trentaquattro anni, infatti, sono passati da quando proprio Schultz, degustando un caffè in piazza Duomo ed essendo rimasto affascinato dalla “magnifica rappresentazione teatrale che va in scena ogni volta che in un bar italiano viene servito un caffè“, ebbe l’idea di esportare quel modello in tutto il mondo, acquistando la piccola catena di caffetterie di Seattle, all’epoca composta di soli sei punti vendita, e portandola ai livelli a cui è arrivata oggi.
“Non abbiamo l’ambizione di insegnare agli italiani come si fa il caffè, ma vogliamo mostrarvi quello che abbiamo imparato”.
Questa la chiave con cui Starbucks si propone di far breccia anche nel mercato italiano.
Un mercato complesso, difficile, forse addirittura ostico in quanto portatore di una secolare tradizione di caffè espresso, ristretto e concentrato, che poco ha a che spartire con l’abbondante e dolce bevanda, oltretutto servita in grandi bicchieri di plastica, in vendita da Starbucks.
Scardinare le tradizioni degli italiani in fatto di caffè e sostituire l’amata tazzina con frappuccini e beveroni sembra una sfida quasi impossibile, ma non per Starbucks:
“Per riuscirci siamo pronti a creare occupazione, a investire milioni di dollari nel vostro Paese”, ha affermato Shultz dall’alto dei 9 miliardi di dollari di fatturato del suo gruppo.
Ciò che fungerà da richiamo per i clienti non sarà infatti la semplice offerta di caffetteria, ma anche e soprattutto l’atmosfera modaiola rappresentata da un locale che è spazio di aggregazione e riconoscimento, dove stringere relazioni, intrattenersi e interagire, grazie anche al wi-fi libero.
Il locale, cioè, si porrà su un altro piano rispetto alla classica caffetteria dove gustare l’amata tazzina, e non entrerà in competizione con le migliaia di bar presenti sul territorio italiano in una sfida che sarebbe irrimediabilmente persa in partenza: sarà qualcos’altro, una realtà nuova e moderna, sconosciuta finora in Italia, con un’offerta di prodotti diversa rispetto a quella tradizionale italiana.
L’ambientazione sarà quella delle nuove “Roastery” di Shangai e New York, vale a dire quella delle antiche torrefazioni reinterpretate in chiave moderna, al cui successo contribuirà inoltre l’accordo di recente stipulato con le panetterie di Rocco Princi, un’istituzione a Milano, che forniranno pane e lievitati artigianali.
Le premesse, quindi, ci sono tutte: tra collocazione prestigiosa, caffè, frappuccini, wi-fi e morbide brioche il successo sembra essere assicurato.
O siamo forse troppo ottimisti?
[Crediti: Repubblica, Dissapore]