Va bene il carnevale, le chiacchiere, i dolci tradizionali. A Milano, però, mentre noi ci scervelliamo per trovare un costume minimamente originale, c’è una parte della città che si prepara a festeggiare il capodanno. Quello cinese.
Siamo in via Paolo Sarpi a Milano, dove gli occhi a mandorla sono la maggioranza, e dove la faccenda gourmet inizia a farsi seria.
Se una volta la Chinatown milanese offriva “solo” trattorie cinesi in versione luci al neon e quadri luminosi con cascate in 3D, oggi è in corso una rivoluzione gastronomica che “ripulisce” i locali e li modernizza per farli convivere con la gastronomia tradizionale che, fortunatamente, “non si tocca”.
Capodanno e cibo: due attrattive troppo allettanti perché mi faccia sfuggire l’occasione.
Decido di dedicare un pomeriggio alla Milano cinese da mangiare, sovvertendo gli schemi logici di prima il salato e poi il dolce, per qualche ora vale tutto e conta solo l’istinto all’assaggio, quello che ti spinge a fare miscugli senza senso solo per dovere di cronaca.
Perché la mia è una missione.
Unica limitazione, un budget stabilito sui 20 euro. Per due persone. E ho detto tutto.
Sono le 17, Via Paolo Sarpi è allestita a festa ed è ora della merenda. Non abbiamo percorso nemmeno cento metri e già siamo ferme davanti a una vetrina, attratte dall’unica pasticceria un po’ shabby chic della zona.
Del bubble tea ho sentito parlare spesso ma non l’ho mai assaggiato, è tempo che mi immoli per la causa.
Si tratta di un beverone (letteralmente un mangia e bevi) di origini taiwanesi. La base è te verde e latte, aromatizzata con diversi gusti, e “condita” con palline gelatinose di tapioca che precipitano sul fondo del bicchiere e arrivano in bocca direttamente da una cannuccia dal diametro oversize.
Il bubble tea si può bere freddo e tiepido: noi scegliamo la versione più comfort, e come gusto optiamo per il matcha.
Allo Chateau Dufan ce lo preparano al momento con il matcha in polvere e il latte scaldato: mi aspetto molto, moltissimo.
Ora, io e il bubble tea forse non ci siamo reciprocamente capiti. Ma ho il dubbio di avere scelto il gusto sbagliato: il matcha non è una delle mie passioni, solo che pensavo di far bene visto che sceglierlo alla frutta avrebbe banalizzato tutto, rendendo il sapore più malleabile all’occidentale che sono.
Le palline di tapioca sono, in sostanza, insapori: più un vezzo che una sostanza, ma quando arrivano dalla super-cannuccia costringono a fermarsi un attimo e a masticare.
Senza di loro il bicchiere si svuoterebbe prima: insomma, nella mia interpretazione servono a rendere slow una bevanda che sarebbe (anche nella forma del bicchierone take away) molto fast.
Costo: 3,50 euro.
Il nostro tour gastronomico riprende, pochi metri più in là: “guarda le uova centenarie” pensiamo davanti a una poco invitante brodaglia marrone in cui galleggiano uova. Il signore che fa loro da guardia tra i tavoli esterni di un ristorante conosce solo una parola italiana: “sì”.
“Sono uova centenarie?” – “Sì”
“Ma no, non può essere: sono uova bollite?” – “Sì”
“Cos’è quest’acqua?” – “Sì”
Facciamo segno con le dita: 2, risponde con il suo pollice a 1. 2 uova non sappiamo come, al costo di un euro. Hai detto scontrino? Scontrino chi?
Qualche vetrina più in là (da qui in poi abbiamo visto uova simili a ogni angolo) scopriamo che le uova sono semplicemente bollite nel te. Prendono un sapore leggermente più dolciastro, ma fondamentalmente sono uova sode.
Costo di 2 uova: 1 euro.
Ordine sparso: ricordate?
Così, un po’ a caso entriamo a curiosare in una gastronomia cinese 2.0: anche loro si sono piegati alla tirannia della cucina a vista, anzi, pure in vetrina.
Il posto è carino, curato più della media, con dei lampadari “a tema”.
Non è una cosa trascurabile, anzi il fatto che si riesca anche ad osare qualche vezzo artistico è la cosa più lontana dalle trattorie di cui sopra, quelle che virano leggermente sul kitsch, presente?
Ordiniamo, ci assegnano il tavolo 15 e aspettiamo sedute: tempo zero, arrivano i ravioli fritti della casa.
Sono “fritti” solo da un lato, o per meglio dire sono passati nell’olio solo sul fondo. Il ripieno è di carne, il gusto ottimo.
Avremmo solo fatto meglio ad ascoltare le indicazioni sulle pareti, perché si sono rivelati assai sbrodolanti. Comunque buonissimi.
Arriva anche il Taiwan Gua Bao, panino al vapore spugnoso con maiale e una dose indicibile di coriandolo che mi asfalta il palato per l’ora successiva.
Costo del panino e dei ravioli con due bottigliette d’acqua, tutto servito al tavolo: 9,30 euro.
Sempre su via Paolo Sarpi, si è fatta una certa. Abbiamo camminato un po’, ci siamo finalmente tolte dalla bocca l’anestesia del coriandolo, siamo pronte per un aperitivo da passeggio.
Entriamo in una tofuria, se il termine esiste.
Qui si vende solo tofu, in tutte le salse, affumicature, colori, forme. Sembra una macelleria, una di quelle vecchio stile con la segatura a terra, e dentro c’è una ragazza intenta a maneggiare il cellulare.
Ovunque campeggia la scritta “No OGM”: si capisce che quando si parla di soia, l’argomento è delicato. E comunque, visto che non è OGM, perché non assaggiare uno dei tofu da passeggio?
Scegliamo quello piccante: la vaschetta costa un euro e noi possiamo proseguire il giro per Chinatown armate di due stuzzicadenti. Non buono, buonissimo, saporitissimo, piccantino.
Costo (senza scontrino, che vi serve a fare?): 1 euro.
E poi, quando credevamo di aver già dato, ci imbattiamo nella nuova Ravioleria Sarpi: sì, è quella con la coda di clienti.
Non è un locale, ma una cucina di tre metri per tre aperta sulla strada, dove comprare ravioli freschi da cucinare a casa, oppure già cotti da mangiare in pure stile oriental-street food.
La pasta è fresca, fatta all’istante, ci sono due ripieni (maiale e verza, oppure manzo e porro), vengono cotti al momento e sono davvero notevoli.
La vera novità sono le materia prime: la carne viene dalla storica macelleria proprio di fianco, quando il ripieno è di pollo c’è la garanzia che siano animali allevati liberi, le farine sono da agricoltura biodinamica.
Insomma, tutto fatto alla moda gourmet a parte il prezzo che resta popolare e senza gonfiature: 4 ravioli a 2,50 euro.
Ne ordiniamo 4 al maiale e verza. Per sbaglio ci arrivano al manzo. Ce li offrono e ci fanno arrivare anche i 4 al maiale: solo qualche goccia di salsa di soia, non serve altro.
Sono buoni davvero, basta solo un po’ di pazienza e attenti alla fila: sulla sinistra per i ravioli, sulla destra per una crespella indicibilmente ripiena che non ho potuto assaggiare solo per raggiunto grado di sazietà.
E, in tutto questo, non è ancora ora di cena.
Avete forse bisogno che vi dica cosa potete comprare nel super Mall di via Paolo Sarpi?
Non credo, anche perché la risposta è “tutto quello che non potevate nemmeno immaginare esistesse”: aglio in agrodolce, sacchetti da 10 chili di funghi secchi, bidoni di salsa di soia, caramelle allo zenzero, prugne secche di tutti i tipi e pure il te al tamarindo.
Talmente tanto e tutto che usciamo a mani vuote, non per protestare contro il consumismo, ma siamo sopraffatte dall’impossibilità di scegliere quale sia la stranezza più bizzarra.
Ultima cosa: prima di andare a cena, per orario, o ricominciare con la colazione cinese, per follia bulimica, devo riassaggiare il bubble tea. Entriamo al Cin Cin Bar, lo prendiamo al taro e tradizionale. No, non sono convinta: il sapore un po’ terroso, le palline appiccicose…
Pago, 3,50 euro anche qui, ed esprimo al barista cinese la mie perplessità. Ne ricavo un brindisi finale con shot di vodka, peperoncino e Sambuca.
Poteva finire meglio il mio pomeriggio gastro-nonsense a Chinatown?