Al di solito compassato National Geographic è bastata una “indagine telefonica” per avventurarsi nel titolo più spericolato della sua prestigiosa storia: “il gelato artigianale non esiste“.
Felici di apprendere la lieta novella, alcune migliaia di artigiani del gelato, come quelli che popolano la classifica di Dissapore delle 100 migliori gelaterie artigianali, sentitamente ringraziano.
Ma provocazione a parte, l’articolo che sia i biechi impostori industriali che i gelatieri più integerrimi stanno condividendo a palla sui loro Messenger e What’s App è una lettura interessante. Anche per noi che abbiamo scritto tanto sulle differenza tra gelato artigianale e industriale e su quale procedimento c’è dietro.
Così lo abbiamo diviso in paragrafi per esplorarlo e discuterlo insieme a voi.
1. Iniziamo dalle basi
Al netto del modesto valore scientifico di un’indagine telefonica, non è poi così scioccante sapere che nel 65% delle gelaterie italiane si usano basi preparate dalle industrie di semilavorati. Anzi, temevamo percentuali più elevate.
Come scritto più volte le basi sono semilavorati che contengono zuccheri, fibre, latte in polvere, addensanti, emulsionanti e spesso grassi vegetali idrogenati, servono per facilitare il lavoro dei gelatieri e ottenere un gelato cremoso che non si scioglie in pochissimi minuti.
Esistono basi a bassa e alta grammatura, nelle prime il ruolo del gelatiere è decisivo, le altre sono quasi gelati completi, basta unire latte o acqua e il gioco è fatto.
A parità di base, che compone in media il 10% del gelato, fanno la differenza le aggiunte del gelatiere: latte, che può essere fresco e di alta qualità oppure a lunga conservazione, panna, zuccheri, in alcuni casi uova e burro (vaccino o di cacao), frutta fresca oppure surgelata, locale o proveniente da altre parti del mondo.
Chi usa le basi preparate non è per forza un impostore, nelle gelaterie molto frequentate servono anche a sveltire il lavoro, e a volte vengono personalizzate su richiesta del gelatiere.
Ha spiegato a National Geographic Fabrizio Osti, tecnologo alimentare e presidente AIIPA (Associazione delle aziende che producono i semilavorati per gelateria): “Per fare una vaschetta da 4 chili ci vogliono circa 10 minuti. Ipotizzando 20 gusti diversi e almeno un ricambio al giorno, il ritmo diventa difficile da sostenere”.
2. Gelato artigianale o “di produzione propria”?
Più manuali di marketing hanno letto i gelatieri, più ci fanno credere che gli ingredienti di un gelato artigianale siano tutti freschi e preparati sul momento. Dispiace svegliarvi dal sogno, ma non è così. Anzi, la freschezza è la vera discriminante tra gelato artigianale e non (approfondiamo al paragrafo 4).
Ma avere sempre un gelato fresco è costoso e impegnativo, per questo molti addetti ai lavori si allontanano dalla definizione “artigianale” preferendo una più semplice “di produzione propria”.
3. Costi e lavoro duro: a fare il gelato artigianale sono in pochi
CREME. Nella categoria dei semilavorati rientrano anche le paste già pronte che servono a insaporire il gelato. Troppo comodo: il gelatiere artigianale duro e puro non usa paste. Lui sceglie i pistacchi freschi, li sguscia, li tosta, li trita, li raffina per renderli pastosi. Capite da voi che i tempi si allungano e i costi cambiano sensibilmente.
FRUTTA. Per i gusti alla frutta, dove non si utilizza il latte, il discorso è leggermente diverso. Tuttavia, visto che una percentuale tra il 20 e il 50% del gelato nella vaschetta è composto da frutta, fresca o congelata, nel retrobottega delle gelaterie artigianali ci si aspetta di trovare una cassetta di frutta da utilizzare il giorno stesso.
A volte capita che le fragole fresche non siano saporite come quelle del giorno prima, il gelatiere alla ricerca di uniformità in genere si aiuta con un concentrato, usato in ragione del 2%. Parliamo di una specie di marmellata che ha il compito di rendere colore, acidità e sapore della frutta uniformi.
Il gelatiere artigianale non usa neanche i concentrati, per nessuna ragione al mondo rovinerebbe le sue pesche tardive di Leonforte (un saporito prodotto tipico siciliano) con una sostanza che spesso contiene aromi o conservanti.
Chi propone il gusto fragola in inverno dichiara implicitamente di usare frutta surgelata.
4. Il gelato artigianale è soprattutto una questione di freschezza
Se il gelato industriale viene preparato, congelato e quindi distribuito nelle gelaterie, nei bar e nei supermercati senza sapere quando verrà consumato (potrebbero passare dei mesi) il suo opposto, ovvero il gelato artigianale, viene venduto nello stesso luogo dove si fa, e il giorno stesso.
Si può riempire la vaschetta anche più volte al giorno se la gelateria ha molti clienti, il gelato fatto più di una volta nel corso della stessa giornata è una garanzia ulteriore di freschezza.
Altri indizi di freschezza sono scioglievolezza e cremosità del gelato, quello realizzato mesi prima al massimo si mastica, oppure l’uso di vaschette in acciaio, più costose di quelle in plastica, ma preferite dai gelatieri artigianali perché tengono meglio il freddo.
5. La spia del colore
Lo abbiamo detto e ripetuto: il colore del gelato alla mela verde è bianco (di che colore è la polpa della mela?). L’olio essenziale che si ricava dalle foglie di menta è incolore perciò anche la menta è bianca, mentre il pistacchio tende al verde scuro/marroncino, anche se qualcuno usa clorofilla per dargli un’invitante tono di verde.
In genere, i colori più vivaci sono la spia dell’uso di coloranti ma l’industria dei prodotti per gelateria si è fatta furba e non usa più colori troppo accesi adattandoli furbescamente alle esigenze dei consumatori.
6. Cosa c’è nel “gelato del senza” (latte, zucchero…)
I gelati senza latte o senza zucchero, magari a base di bevande di mandorla o cocco sono più sani? A parte chi soffre di intolleranza o allergia al lattosio, la cui scelta è obbligata, non sempre è così. Non sempre infatti le alternative al latte di mucca sono meno grasse o caloriche.
La vera alternativa al latte vaccino casomai è l’acqua. Usata dal gelatiere artigianale nei gusti alla frutta, anche frutta secca, o nella preparazione di cioccolati fondenti di particolare pregio.
Riguardo lo zucchero, nessun nutrizionista negherebbe un gelato. Meglio sarebbe eliminare lo zucchero inutile che adulti e bambini assumono durante il giorno, vale a dire bevande gassate, succhi di frutta, merendine molto dolci, lo zucchero nel caffè.
L’alternativa spesso usata nel gelato si chiama stevia, sostanza ottenuta dalle foglie di una pianta tipica dell’America Latina con un potere dolcificante che supera di 300 volte quello del saccarosio. Nemmeno la stevia però risolve tutti i problemi. Efsa, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, pur escludendo effetti cancerogeni ha stabilito che la dose giornaliera ammissibile è di 4 milligrammi per ogni chilo di peso corporeo.
Inoltre lo zucchero nel gelato funziona come anti-congelante, caratteristica che la stevia non possiede.
7. Toh chi si rivede: l’olio di palma
Buona parte dei gelati industriali, per assicurare cremosità e stabilità nel lungo periodo, contengono olio di palma o di cocco, ricchi di grassi saturi e, secondo l’Efsa, sostanze potenzialmente cancerogene.
Non è così nei gelati artigianali, dove il ruolo di rendere i gusti cremosi compete alla panna, senza contare che chi usa frutta fresca di stagione, visto che quando è matura contiene più zucchero, si può permettere di aggiungerne quantità minori.
Di contro, si trovano olio di palma e di cocco anche in alcuni gelati industriali premium (Haagen Dasz per esempio) e in qualche raro caso perfino artigianali.
La cosa migliore da fare è consultare gli ingredienti tenendo presente che i gelatieri, se non usano Nocciola IGP, cacao pregiato e quant’altro dichiara nel tabellone degli ingredienti, sono passibili di denuncia per frode alimentare.
Augurandoci che siate arrivati fin qui, proclamiamo la discussione ufficialmente aperta.
[Crediti | Link: Dissapore, National Geographic]