La recente apertura di Manorossa ad Alba, gelateria che si definisce “per adulti”, ha ispirato un certo dibattito in redazione. No, con “per adulti” non si fa riferimento ai cannoli fallici zampillanti di crema di pasticcerie pornografiche di recente apertura o a ai “Tiramelosu” serviti come dessert in un “ristorante erotico” milanese, ma al concetto gustativo di adulto: l’abbandono di confortanti dolcezze per virare il gelato verso ispirazioni salate o financo vero il sapore primario più sfidante, l’amaro, magari interpretato attraverso la lente alcolica del modo di distillati, liquori o ispirandosi alla miscelazione. Facendo rapidamente mente locale tra le esperienze dei redattori, è parso che -pur senza farne il fulcro della propria produzione come nel caso della nuova e avventurosa apertura albese- si stiano creando i presupposti per parlare di una tendenza.
Gelato salato, amaro e alcolico
Certo, i gelati non dolci non sono certo una novità. Ma se nelle gelaterie tout court i gusti ispirati alla cucina salata sono più spesso un divertissement momentaneo o il colpo di teatro per qualche evento o congresso, i gourmettari più smaliziati (e più attempati) rammenteranno ancora con orrore le infilate di gelati alle acciughe, alla peperonata o al tabacco le cui quenelle e palline facevano capolino sui piatti di interi menù degustazione nei ristoranti fine dining nel periodo immediatamente successivo all’avvento del Pacojet: preparazioni improbabili non certo a causa dello strumento o della tecnica che, vale la pena ricordarlo, non portano pena, ma più che altro per l’ingenuità di cuochi che hanno presto dovuto rendersi conto che per fare il gelato alla cipolla di Jordi Roca (magari accompagnato a un cochinillo cotto a bassa temperatura) o il quello ai ricci di mare di Mauro Uliassi (magari accompagnato a qualsiasi cosa, anche all’aria) serviva ben altro che un supporto tecnico.
Abbiamo già affrontato il tema dell’amaro nei dolci grazie a Stefano Guizzetti della gelateria Ciacco, col suo splendido lavoro sulle infusioni di spezie, radici e cortecce con cui ha creato un panettone e un gelato, e già all’epoca i segnali erano chiari: il mix di note amaricanti e zuccheri, frutta candita, vaniglia, burro e quant’altro riportavano alla mente di tutti golosi cocktail a base bitter. Americano, Negroni o Boulevardier, l’esempio è perfettamente calzante per capire il ruolo dell’amaro nell’evoluzione adulta del gelato. Guizzetti poi non si sottrae nemmeno alla gelateria salata, riuscendo anche a vincere la tradizionale diffidenza locale nei confronti di qualsivoglia innovazione in ambito culinario usando l’unico cavallo di troia che poteva essere accolto tra le mura di Parma: i tortelli, con un gelato che li ricorda con burro, Parmigiano e salvia fritta.
Gelati al negroni, naturalmente poco alcolici
Uno che sicuramente non ha dubbi al riguardo, almeno sul valore gastronomico, è Paolo Brunelli, premiatissimo artigiano del gelato di Senigallia, le cui opzioni alcoliche trasudano gola ed edonismo. Questo il suo punto di vista sulla tendenza: “quello dei gelati per adulti è un tema che ha sicuramente un futuro o è quanto meno auspicabile da parte mia, perché è una tipologia di gelato che adoro, e ha sviluppi che potrebbero essere interessanti. Dal punto di vista del business però, non lo sono altrettanto: piacciono, sì, ma in termini di vendita funzionano meno. Due anni fa avevo fatto questo gelato al negroni, zabaione al vermouth con gelatine di bitter e gin , volevo riprendere un po’ Adrià e un po’ Cedroni, e ne ero particolarmente contento, ma non andò benissimo, forse ero troppo in anticipo“.
La sua passione per il mondo degli spirits è raccontata tramite il suo zabaione classico, decadente veicolo attraverso cui fare esprimere una selezione di liquori e distillati degna della carta di uno stellato: il Rum bianco overproof giamaicano Fire di Hampden Estate, Calvados La Blanche, la mitica Chartreuse o il whiskey americano Mitcher’s, prodotti tutti accomunati da caratteri aromatici intensi, che i grassi del gelato permettono di apprezzare in una nuova veste: “attraverso il gelato, e la diluizione dell’alcool, certi prodotti li apprezzi meglio. È come quando facevo i corsi sui distillati e mi facevano odorare i prodotti dal palmo della mano, o dopo aver aggiunto qualche goccia d’acqua: si ovvia al problema dell’alcolicità troppo elevata e si riesce anche a fare entrare più persone in questo mondo“. Da par suo, Paolo non risparmia una stoccata a chi sperimenta con eccessiva disinvoltura: “vedo sempre di più gelatieri che si approcciano a questo argomento dealcolando i prodotti, un escamotage da evitare.
La bellezza e la difficoltà del fare un gelato alcolico è trovare l’accordo e l’equilibrio, togliere l’alcool è mancare di rispetto al consumatore, al vignaiolo, al mastro birraio, al produttore in generale: una cosa da non fare assolutamente“. Una posizione, quella della valorizzazione del prodotto, che mette d’accordo tutti gli interpellati.
Abbinamenti: Chartreuse con la camomilla, lime con il rum
Abbiamo fatto una chiacchierata con Simone De Feo di Capolinea di Reggio Emilia, fresco di apertura della seconda sede e da sempre grande sperimentatore nell’arte gelatiera, per capire un po’ lo stato dell’arte sull’evoluzione “adulta” del suo prodotto.
“La mia opinione è assolutamente aderente alla vostra idea: superalcolici, distillati o alcolici in generale sono poi interessanti soprattutto per due ragioni. La prima è la possibilità di lavorare sugli abbinamenti. Ogni mese penso a un gusto diverso, ad aprile avevamo Camomilla, Miele, Chartreuse, a maggio Fragola Mandorla Clairin Rum e a giugno ci sarà Cocco, lime e rum veritas. L’altra ragione è la profilazione di un target di clientela molto appassionata: pensa che qualche settimana fa è arrivato un ragazzo scozzese molto appassionato di rum che non aveva mai assaggiato il mio gelato, e adesso sta portando i nostri babà fino in Jamaica da Worthy Park”.
Simone ci spiega anche da dove arriva la sua ispirazione: “sono sempre stato appassionato di distillati, è un mondo che mi ha sempre attirato tantissimo ma verso cui ho un timore reverenziale. Poi sono entrato in contatto con Velier, ho partecipato a Velier Live con babà e pandoro e mi sono divertito come un bambino”, e sulle sperimentazione salate, discorso che porta avanti ormai da più di una decade, ha un’idea molto precisa: “per anni ho fatto un gusto salato alla settimana, ma va contestualizzato. Adesso dedico almeno una serata all’anno alla gelateria salata, ma quello al banco è un consumo d’impulso e il gelato salato è un consumo più cerebrale. Tanto che collaborando con Stefano di Ciacco e Ciro Fontanesi, colleghi con cui condivido la didattica in ALMA, da quest’anno gli abbiamo dedicato un intero modulo”.
Valorizzare spirits e distillati artigianali
Di altro avviso Gian Luca Cavi, mente di Magritte – Gelati al Cubo di Fidenza, allievo di De Feo e uno dei più brillanti talenti emergenti dell’arte gelatiera (ma per noi già emerso), autore che rende ancora più interessante la già vivace e golosa scena della via Emilia. Impermeabile a trend e mode, per lui la tendenza non c’è o -almeno- così spera: “Non credo ci sarà mai una tendenza sui gelati con spirits. Hanno futuro, questo sì, già da anni rappresentano una sfumatura interessante e ricercata, ma pur sempre una nicchia. Questo non significa che non faccia sperimentazioni al riguardo, ma l’utilizzo corretto di distillati e liquori deve essere volto a valorizzare prodotti di qualità, e questo implica una maggiore sensibilità e cultura di degustazione da parte del gelatiere”.
È proprio questa sensibilità nella degustazione ad emergere quando gli chiediamo di farci qualche esempio: “Nel mio menu è sempre presente una piccola sezione spirits selection, nella quale cerchiamo il più possibile di valorizzare gli artigiani del territorio. Sempre presente la Zuppa Inglese, nella quale utilizziamo un grande Alchermes artigianale. Nella stagione estiva poi, inseriamo Lattepiù , un sorbetto di latte fresco con l’inserimento della grappa all’Ortrugo di Distina Azienda Agricola, caratterizzata dalle interessantissime note verdi ed erbacee.”
Tendenza o no, è evidente che il mondo degli alcolici nei gelati stuzzica lo spirito d’innovazione e l’edonismo dei grandi artigiani i quali, è legittimo intuirlo, saranno buone influenze per i gelatieri a venire: chissà se dopo il passaggio dalle traboccanti vasche multicolori alle carapine -momento che ha segnato la rinascita dell’artigianalità nel gelato e ormai già scimmiottato dall’industria- la prossima transizione verso l’età adulta della gelateria non passi anche da grandi liquori e distillati.