Quel terribile mix di rincari, aumenti delle materie prime, inflazione e calo dei consumi che sta affliggendo imprenditori della ristorazione sta imponendo una profonda revisione delle pratiche nel settore. Il “si è sempre fatto così” è ormai stato ufficialmente abbandonato (per fortuna, in diversi casi), e questi cambiamenti passano da ogni ambito: bar, ristoranti, pizzerie, e anche il mondo del gelato deve ovviamente farci i conti.
Ed è un mondo in cui grosse criticità, come l’impatto devastante del caro bollette sui costi di un’impresa basata sulla refrigerazione, si scontrano con abitudini di consumo -e somministrazione- consolidate, vedi il prezzo fisso per tutti i gusti, a volte necessario per ottimizzare i flussi di un’attività che si svolge spesso a ritmi serrati e di fronte a interminabili code di clienti, ed un compromesso a cui i gelatieri cedono volentieri, sacrificando la marginalità di alcune referenze ed equilibrandola altrove.
Non è questo però il momento di aggrapparsi a schemi consolidati, e se esperimenti precedenti di gelati con prezzi diversi non hanno funzionato, dopo tre anni di aumenti sul prezzo al cliente finale che hanno sfiorato il 30% nel 2024, ulteriori aumenti generalizzati potrebbero avere un impatto negativo sui consumi. Qualcuno sta quindi timidamente sperimentando qualcos’altro: piccoli rincari su gusti specifici, caratterizzati da materie prime particolarmente pregiate.
Gusti premium rincarati: qualche esempio

Nel nostro costante girovagare per gelaterie, esempi di gelaterie che propongono prodotti “premium” con un ricarico sul singolo gusto stanno cominciando a spuntare: non parleremo ancora di un trend definito ed avviato, ma è sicuramente qualcosa di cui prendere nota.
Ci è capitato a Padova, da Antiche Tentazioni, dove si può scegliere tra pistacchio “di Sicilia” e il pistacchio di Bronte, quest’ultimo a 1€ in più a pallina, che sia la volta buona che qualcuno capisca il vero valore di una materia così preziosa; sempre in Veneto ci è capitato Da Simone, che propone un cioccolato fondente e uno “Stragianduia” a 50 centesimi in più; spostandoci in Brianza, Pallini per i suoi “Pistacchio verde di Bronte Dop lavorazione a crudo”, fragoline di bosco e mango e maracuja via aerea, prevede una maggiorazione di 50 cent.
La questione tropicale
Una questione, quella della frutta tropicale, che mi è capitato di affrontare con diversi gelatieri, e che ognuno interpreta a modo suo. La situazione d’altronde, col cambiamento climatico è in rapida evoluzione: mango, papaya, avocado e passion fruit coltivati in Sicilia si stanno ritagliando sempre più spazio, ma un approvvigionamento costante non sembra ancora possibile; attraversando l’oceano c’è una differenza di qualità enorme tra i frutti trasportati in nave, maturati nelle stive e trattati con etilene, e quelli maturati in pianta e portati in Italia in aereo.
Una differenza ovviamente percepibile anche nel prezzo ed estremizzata negli ultimi anni, tanto da essere considerata a tutti gli effetti una materia prima di lusso: di conseguenza c’è chi ha deciso di farne a meno, chi, per amore del buono, la usa ogni tanto, conscio del fatto che la marginalità sarà maggiore altrove. E c’è chi sta sperimentando con questa terza via, il gusto con maggiorazione per frutta “premium”.
C’è chi può e chi non può
E qui, sul margine di manovra del guadagno, una riflessione va fatta. Senza addentrarci in spinose questioni gestionali e di food cost, in cui ogni artigiano/imprenditore fa i suoi conti (ci auguriamo corretti), c’è sicuramente una cosa che accomuna tutti: quella fascia di prezzo che si riconosce al gelato di qualità, più o meno tra i 26 e i 29 euro al kilo, che è una soglia psicologica invalicabile per il cliente medio.
Discorso diverso per un ristorante o, in tempi più recenti, per una pizzeria, che se decidessero domani di abbandonare la Metro selezionare solo materie prime pregiate e puntare alle stelle, o diventare franchisee di Crazy Pizza, non avrebbe limiti di sorta, mentre gli esempi di coni a 70€ l’uno e creme a 50€ al chilo restano boutade che hanno lasciato il tempo che hanno trovato. E sì, siamo consci del fatto che a Taiwan un locale che propone gelati, Minimal, ha preso la stella Michelin, ma farlo rientrare nel novero delle gelaterie ci sembra quantomeno osé.
Pro e contro

Questa novità dei gelati a prezzo maggiorato ha sicuramente dei risvolti positivi: primo fra tutti è la valorizzazione dell’ingrediente, dando anche al consumatore finale la possibilità di acquisire consapevolezza sulla qualità e la ricerca del gelatiere sulle materie prime nel modo più pratico possibile, l’assaggio. Niente più riferimenti vaghi al Piemonte con mix di nocciole Tonda Gentile e altre (buonissime, stiamo pur sempre parlando di gelaterie artigianali il cui merito non è in discussione) di provenienza diversa, per non parlare del già citato e ubiquo pistacchio. Con 50 centesimi o un euro in più ti becchi il 100% senza compromessi: una posizione sostenuta soprattutto dalla qualità, oggettivamente straordinaria, degli assaggi fatti. Alcuni gelatieri ne fanno anche una questione di “ricerca e sviluppo”: laddove il gusto richieda una particolare sperimentazione o lavorazione, questo si identifica come premium. Anche qui, sono stati gli assaggi a parlare e convincere.
Quello che resta da vedere, qualora questa tendenza dovesse diffondersi più ampiamente, è la percezione del pubblico. Se non ben veicolato tramite una comunicazione attenta, il messaggio che può passare è quello di gelati di serie a e serie b, senza dimenticare l’atavico risentimento italiano nei confronti di tutto ciò che è supplemento, vedi le cicliche controversie su coperto, pane, aperitivi più o meno offerti o la panna montata, in cui emerge sempre il solito adagio: “aumenta tutto di un euro e includili”.
La bella stagione è alle porte, e probabilmente ci sarà una nuova polemica di cui discutere.