Noi napoletani siamo un po’ permalosi: non ci puoi dire che non facciamo bene le cose. Non ci possono dire in prima serata, su Rai 3, che il caffè di Napoli “Ha un retrogusto rancido”, che i posti che si salvano sono pochi, quelli che fanno “Specialty Coffee” (questa, poi), tipo il Campana Bottega di caffè speciali a Pompei, gestito da Paola Campana.
Lei tra i protagonisti della – discussissima – puntata di Report di lunedì 3 giugno che, concentrandosi sulla scena napoletana, ha messo sotto inchiesta la scarsa formazione del personale che ci riempie la tazzina, la qualità delle miscele spesso scadente – la cui provenienza viene finanche taciuta – , il sapore generalmente mediocre, per non dire Con qualche errore ed imprecisione, l’arzillo Bernardo Iovene ha messo in video tutte le motivazioni dei nostri Gaviscon post caffè.
Partenope, aiutaci tu. Dal signore con baffetto, consumatore abituale di caffè al bar, fino al foodie più sfegatato, il 99% della platea ha rigettato il verdetto di Report – accusandolo di markette, non rispetto per la tradizione, eccetera eccetera.
Ora, in questa redazione, siamo tutti un po’ caffè-addicted: dalla tazzina con 7 grammi di miscela fatta con la macchina da bar, passando per la cuccumella napoletana, fino ai caffè speciali in V60 e french press, amiamo tutte le forme di questa preziosa bevanda arrivata da lontano, che ci aiuta a sopportare le nottate e gli editing.
Se ci fosse un coffee pride, andremmo a farlo. L’importante è che sia fatto bene: per questo motivo non riusciamo a capacitarci, o trincerarci, dietro le risposte – date dai rappresentanti dei caffè storici di Napoli – come “si è sempre fatto così”, “ciò che piace non ha difetti”, “candideremo all’Unesco il rito del caffè napoletano”.
Il rito.
Mentre nel resto d’Italia convivono più o meno diverse realtà di caffè – da quelli fatti nelle caffetterie tradizionali ai caffé filtro quasi sempre relegati alle caffetterie Specialty – in Campania stentano quasi a decollare le alternative all’espresso troppo tostato – qualcuno ha detto bruciato? – col retrogusto di muffetta.
Abbiamo deciso perciò di intervistare Paola Campana, tra le protagoniste della puntata di Report ed imprenditrice della Roastery Campana Caffè, oltre che proprietaria di uno Specialty Coffee in quel di Pompei. Le abbiamo fatto un po’ di domande, soprattutto su cosa significhi avere un caffetteria alternativa in un mare di caffé tradizionali.
Paola, Come ci sei arrivata allo Specialty coffee?
Sono nata nel caffè! Mio padre tosta caffè da svariati anni. In realtà dopo gli studi e le esperienze di lavoro (conseguite in aziende impiegate in settori diversi da quello del caffè) sono tornata nell’azienda di famiglia, cercando di dare una sferzata di innovazione. Io e mio fratello abbiamo iniziato a studiare il caffè anche frequentando corsi certificati della Specialty Coffee Association.
Questa passione e questo amore per il mondo del caffè ci ha portati ad apprezzare e a lavorare con gli Specialty Coffee. Dietro ogni caffè si racchiudono incredibili storie di passione e sostenibilità dei contadini che lavorano in piantagione. E’ bello raccontare ai clienti l’eccellenza di una tazza, la storia di un produttore, i metodi di lavorazione, i profumi e il gusto esotico che essa racchiude ad ogni sorso. La differenza si vede e si sente, è un caffe questo che persiste al palato e ti lascia un sapore dolce, per niente amaro rispetto a quello cui siamo soliti bere nei bar.
Non è così comune vedere una donna alle prese con la “macchina da caffè” e con il caffè in generale. Di solito, nei bar, siamo relegate ad altri ruoli, sebbene ci siano delle tue colleghe imprenditrici validissime. Com’è gestire un locale come il tuo?
Da imprenditrice della torrefazione di famiglia, ho scelto di gestire in prima persona il locale Specialty a nostro marchio (Campana Caffè) perché credo molto in questo settore e nell’alta qualità dei caffè selezionati, tostati ed estratti a regola d’arte, seguendo uno standard qualitativo che viene da anni di studi ed esperienze.
Di certo non è semplice gestire un locale del genere, ma ci vuole competenza e conoscenza in questo settore; lo si può fare solo se alle spalle c’è passione per la materia prima e per la qualità. Purtroppo la caffetteria italiana è rimasta indietro di 70 anni circa, non ha subito evoluzione ma qualcosa sta cambiando ora nel panorama italiano con l’apertura di queste nuove realtà, quelle che appunto chiamiamo i locali “Specialty Coffee”.
Pompei è una città molto variegata: passano di qui più di 3 milioni e mezzo di turisti l’anno: dalle recensioni i turisti sembrano apprezzare il mood e le tue proposte, ma com’è avere a che fare con le persone del posto? Che tipo di clienti sono? Apprezzano, oppure no?
Nel mio locale c’è un pubblico sia di turisti che di italiani. Tutti, devo dire, per fortuna trovano la nostra offerta di prodotti e caffè ottima. Ho una buona fetta di clienti italiani e locali che apprezzano molto i nostri prodotti, e per loro siamo una piacevole alternativa rispetto al bar tradizionale.
Il rituale del caffè: commentiamo un po’ questa frase “se alla gente piace, non ha difetti”, che appunto è stata detta a Report. Cosa ne pensi? E’ giusto candidare a Patrimonio Unesco la “ritualità” di qualcosa che in realtà è piena di difetti?
Che il caffè abbia dei difetti è possibile, io non lo so perché non l’ho assaggiato (i caffè oggetto della trasmissione Report, ndr). Ma se lo ha assaggiato un esperto come Andrej Godina non ha fatto altro che dare un giudizio/parere tecnico.
Se “alla gente piace così” non vuol dire che sia cosa buona e giusta, L’italiano medio e non soltanto il napoletano è abituato ad un gusto standard fatto spesso di miscele ahimè di qualità non ottima, per cui quando gli si presenta uno Specialty è normale che ci metta tempo ad apprezzarlo. Per quanto riguarda la candidatura a Patrimonio Unesco della ritualità napoletana del caffè, mi riservo di non rispondere: sono due modi di intendere il caffè in maniera differente.
Com’è il rapporto con i tuoi colleghi delle caffetterie tradizionali?
Come dicevo prima, sono anche imprenditrice e non soltanto lavoratrice nel mio locale. Io e mio fratello guidiamo la Torrefazione di famiglia e portiamo avanti un concetto di qualità sia sul caffè tradizionale che sullo Specialty.
In ogni caso, ho un ottimo rapporto con i miei colleghi torrefattori e baristi della tradizione. Noi non produciamo solo caffè Specialty, ma abbiamo anche una linea di caffè Tradizionale, ovvero miscele di caffè arabica e robusta. Io a mio volta fornisco bar e ristoranti che adottano la miscela tradizionale “Campana Caffè”. Però, prima di far inserire le nostre miscele in carta, faccio formazione al loro personale: in questo modo riusciamo e riescono a garantire al cliente sempre un prodotto di qualità.
Come valuti il caffè – di Napoli e dell’Italia in generale – e cosa pensi della puntata? Secondo te sarà “motore” di cambiamento oppure le cose resteranno uguali a prima?
Il caffè di Napoli – ed in generale, dell’Italia – va migliorato, su questo c’è poco da dire. La puntata di Report è ben fatta e finalmente hanno dato spazio anche alle attività emergenti delle nuove generazioni, fatta di persone preparate competenti e istruite nel settore. Credo qualcosa cambierà, in meglio.