Quando un’enoteca lombarda, che vende vini lombardi, non riesce a partecipare al bando regionale #iobevolombardo, dedicato a chi promuove le bottiglie dei produttori locali, è chiaro che c’è qualcosa che non va. E quel qualcosa, signore e signori, è ancora una volta il corto circuito dei codici Ateco.
La storia è quella dell’enoteca – vineria “Il Secco” di Milano, ma potrebbe essere quella di tanti altri, in un’epoca in cui, improvvisamente, i codici Ateco sono passati dall’essere una mera formalità burocratica alla formula magica con cui si decide il tuo futuro prossimo.
Cinque anni fa, quattro ragazzi aprono il Secco, un’enoteca specializzata in bollicine italiane. Franciacorta, Oltrepò e compagnia bella. Tanta Lombardia, insomma. Per cui, in un anno difficile per loro come per tutti, Andrea e i suoi 4 soci si illuminano di entusiasmo quando vedono che la Regione Lombardia ha lanciato un bando per aiutare produttori e venditori di vini del territorio.
#Iobevolombardo – rigorosamente con l’hashtag davanti, se no non ci si crede – è un progetto “a sostegno del sistema produttivo vinicolo di qualità e degli operatori della ristorazione a seguito dell’emergenza Covid-19”. L’idea è, in parole povere, concedere a chi vende vino dei produttori locali di qualità due voucher, del valore di 250 euro cadauno, da utilizzare per comprare prodotti presso le cantine selezionate.
Son solo 500 euro, ma di questi tempi aiutano, eccome. E poi – si dicono Andrea e soci – il bando sembra essere scritto appositamente per loro.
E invece no. Dopo due mesi d’attesa, arrivano i risultati del bando, e i gestori del Secco scoprono di essere stati esclusi, perché “non appartenenti alla categoria destinataria dell’agevolazione”. Tornano a controllare, gli sembra impossibile. E invece è così, non hanno tenuto conto di un particolare molto importante, quello appunto del codice Ateco.
Perché il bando #iobevolombardo recitava (chiaramente, c’è da dirlo) che “i soggetti beneficiari sono le micro, piccole e medie imprese non agricole aventi almeno una sede operativa o un’unità locale in Lombardia e operanti nel settore della ristorazione verificabile attraverso il codice Ateco I.56.10.11 o dall’attività primaria e secondaria”. Nello specifico, il codice Ateco di cui sopra identifica le “attività degli esercizi di birrerie, pub, enoteche ed altri esercizi simili con cucina”.
E invece l’Enoteca Il Secco, sebbene corrisponda perfettamente alla descrizione del soggetto tipo a cui è rivolya l’iniziativa, viene esclusa perché ha un codice Ateco 56.30, che identifica i “bar e altri esercizi simili senza cucina”.
“Ora”, dice sconsolato Andrea, uno dei quattro soci del Secco, “Noi possiamo avere letto in modo affrettato il bando. Possiamo avere interpretato male il passaggio relativo ai beneficiari. Possiamo avere pensato che se ci vogliono due mesi per valutare i requisiti, si vada oltre il codice Ateco. Possiamo avere commesso numerosi errori. Possiamo solo essere gli ennesimi a fare presente l’inadeguatezza del codice ATECO a creare distinguo in questo momento”. Inadeguatezza di cui si è accorto – in parte e tardivamente – anche il Governo, che ha promesso il superamento del codice Ateco come criterio. “Però, davvero”, continua Andrea. “Sembrava un aiuto pensato esattamente per realtà come la nostra, e invece è l’ennesimo piccolo chiodo piantato in una situazione faticosa”.
Al di là del caso singolo, c’è da continuare a chiedersi come sia possibile che una banalissima classificazione burocratica, che fino a poco tempo fa non aveva quasi nessuna utilità pratica, sia diventata con la pandemia il discrimine principale tra chi può accedere agli aiuti e chi no, tra chi può rimanere aperto e chi no. I “paradossi”, in una situazione di questo tipo, non possono che essere all’ordine del giorno: è ovvio che nessuno si aspetta che sia possibile fare una valutazione delle singole casistiche, ma è altrettanto ovvio che il loro peso aumenta, paradosso dopo paradosso, dimostrando che le premesse sono – molto semplicemente – inadeguate.