Il modo in cui beviamo il caffè al bar è cambiato, lo dicevamo nel post sulle 20 caffetterie artigianali migliori d’Italia.
Non abbiamo appeso la Moka al chiodo, intendiamoci, ma contaminato l’espresso con l’arrivo dal nord Europa del caffè filtro, ottenuto cioè per infusione.
E’ il mondo parallelo degli specialty coffee, una specie di Cirque du Soleil dell’estrazione, molto appariscente, infarcito di abilità tecnica con risvolti artistici.
Per farvelo conoscere abbiamo pensato di comporre l’alfabeto del caffè specialty, una lettera per ogni parola chiave.
Ai neofiti auguriamo buona lettura, a chi se ne intende chiediamo consigli: la questione ci interessa, i vostri suggerimenti sono molto graditi.
A come Aeropress
È la caffettiera futurista. Lineare. Rapida.
In cilindri cavi, concentrici, vengono versate acqua e polvere. Si fa pressione direttamente sulla tazza che raccoglierà il nostro caffè, più torbido del solito. Il tempo di infusione è di pochi minuti. Più veloce della French press, che per qualche assurdo motivo troverete alla lettera P.
B come Black Honey
Tra i processi di lavorazione delle ciliegie mature (una volta raccolte va eliminato il pergamino, il guscio esterno), questo è certamente il più complesso e costoso, nonché quello che rende di più a livello gustativo, una volta in tazza. Che vi sto a dire, ovviamente è il preferito di molti coffee-addicted.
La lavorazione del chicco è un fattore da non sottovalutarsi: inizia a diffondersi il trend di identificare i caffè in base alla loro pulitura.
C come Cupping (o Assaggio alla Brasiliana)
Rituale della degustazione di caffè, con tanto di cucchiaio apposito, analisi sensoriale e sputacchiera (se dieci calici di vino ubriacano, altrettanti caffè ci trasformerebbero in Joe Bastianich di fronte a un brutto hamburger: per il nervoso lanceremmo tazzine, al posto dei piatti).
Esame di corpo, gusto e retrogusto, al termine del quale l’esperto è in grado di identificare l’origine geografica di quel caffè, mentre il neofita sta ancora ridendo per l’imbarazzo provocato dal risucchio (bisogna aspirare con forza, in modo da far raggiungere alla miscela più papille gustative possibile).
D come Drip
Se dico cucina e bilancia, pensate ai dolci. O al dietologo che mamma mia, quanto puntualizza.
Allora questo alfabeto è proprio necessario. In questo metodo di estrazione il peso del caffè viene tenuto sotto controllo: sul calcolatore (che qui deve essere molto preciso, non dico un bilancino alla Breaking Bad, la serie tv su chimica e metanfetamina, ma quasi) si appoggia il V60, lo Chemex, o comunque la caffettiera per il vostro dripper, e si versa l’acqua in un cono di carta che filtra il macinato.
E come Espresso Estrazione
Nonostante siano i metodi di estrazione “alternativi” a rendere sempre più noto il mondo un po’ hipster degli specialty, anche l’espresso ha le proprie regole di estrazione. Fateci caso quando andate al bar.
Pulizia opinabile e guarnizioni usurate forse non saranno proprio a portata d’occhio, ma quanto ci mette a scendere il caffè, quello potrete pur notarlo. Tra i 20 e i 30 secondi, l’estrazione perfetta dell’espresso dura 25.
Grassi, acidi, amminoacidi e zuccheri: estrarre bene il caffè significa prendere dal chicco tutte le sue sostanze, esaltandone aroma e proprietà.
F come Filtro
Il più diffuso al mondo (specialmente negli States e in Nord Europa), identifica l’Italia come il Paese della Moka. Perché da noi, non ce lo si fila granché. È quello che si prepara per infusione, il filtro (generalmente in carta) riempito di polvere in acqua bollente.
Se andate in una caffetteria napoletana tradizionale e chiedete un caffè filtro potrebbero rispondervi con la celebre frase di Renato Carosone: “Tu vuo fà l’americano?”. Non solo perché visto come stramba novità, ma anche perché, altrettanto erroneamente, spesso confuso con l’americano. Che invece è l’espresso allungato.
G come Green Coffee classification
La graduatoria internazionale dei caffè verdi, opera della SCAA (andate alla lettera U di USA, o pazientate). Secondo la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) è “Un modo eccellente per classificare i caffè”. Più di così.
Distingue in Speciality Grade (eccoli qua), Premium Grade, Exchange Grade, Below Standard Grade e Off Grade, dai migliori a quelli pieni zeppi di difetti.
H come Hipster
Dai, ammettiamolo. I seguaci dello Specialty, in Italia, rappresentano una sottocultura alternativa.
Da sempre associato alle tendenze di nicchia e all’artigianato, il concetto di “hipsterismo” oggi ben si presta alla caffetteria di alta qualità, che di barman barbuti, lavagne appese alle pareti con monorigine ben descritti e location minimaliste fa un marchio di fabbrica. Per non parlare delle loro caffettiere, veri e propri feticci del barman à la page.
I come Ibrik (o cevze)
L’espressione “stare una crema” dovrebbe trovare le proprie origini nel caffè turco. Ne descrive perfettamente la densità ed esprime la paciosa calma con cui andrebbe consumato.
E preparato, dato che una volta messo il caffè (macinato il più fine possibile) acqua e zucchero nel piccolo bricco di ottone a manico lungo (ibrik appunto) il gas va tenuto basso. Tanto basso da non far mai bollire la miscela.
Per il caffè cucinato, alla maniera medio-orientale e balcanica, basterebbe un pentolino stretto. Diciamocelo. Ma l’Ibrik è un gran bell’oggetto.
L come Latte Art
I cuori sul cappuccino, avete presente. “Bella roba”, direte voi.
Beh sappiate che è in questo marasma di tecniche dai natali americani, questa è italiana. Quindi portiamo rispetto per i disegnini sul caffè, che son difficili da realizzare e in alcuni casi son persino belli. Pensiamo all’artista giapponese Kazuki Yamamoto, deliberatamente ispirtosi a Salvador Dalì.
M come Monorigine (versus Miscela)
Dai, siamo nel mondo dei cupping alla cieca (il corrispondente della degustazione di vino con l’etichetta coperta, solo che nello Specialty l’assaggio si fa senza conoscere origine o varietà). Qui si beve il caffè e con una certa sicurezza, non priva di saccenza, si conclude: “Buono. Beh certo, è un Jamaica Blue Mountain”
Le caffetterie di tendenza riempiono le proprie lavagne di monorigine, provenienti da una piantagione precisa, capace di conferire al frutto caratteristiche riconoscibili. E’ il caso del Brasile Bourbon e del Mysore Nugget indiano.
N come Napoletana (o cuccumella)
Origini francesi, come il cioccolatino quadrato del tipo napolitain. La caffettiera che è entrata nella tradizione dell’Italia meridionale e che Eduardo De Filippo ha reso oggetto culturale, in Questi Fantasmi, oggi torna a presenziare nei bar a modo.
Bisogna avere pazienza. Dieci minuti su per giù: da quando esce il vapore e si spegne il fuoco, la napoletana si gira e l’acqua scende, piano piano, attraverso il filtro pieno di caffè. Ed ecco che il sud, prima di cedere all’egemonia dell’espresso, aveva lanciato la moda filter coffee.
O come Over, Pour Over
Espressioni angolofone: così banali da stupire. Pour over sta ad indicare che l’acqua viene “versata sopra”, facendo centro nel filtro contenente il caffè.
P come Plunger Coffee (o French Press)
La caffettiera francese l’ha inventata un italiano. Ups. Un punto al nostro orgoglio nazionale nell’eterna competizione col mondo franco-gastronomico (quindi ora siamo 1 a 1, con la questione della “Napoletana”..).
Eppure la cosa non sembra interessarci. Anche il bicchiere con coperchio dotato di stantuffo è poco diffuso, dalle nostre parti. Filtro a retina metallica e caffè macinato molto grossolanamente, perché lo si lascia in infusione nell’acqua per almeno quattro minuti.
N.B: Nei metodi di estrazione del caffè più è lungo il tempo di contatto con l’acqua più la macinatura deve essere grossa, per non bruciare gli aromi.
Q come Q-Grader
È l’assaggiatore del caffè, quello che del cupping ci ha fatto una professione. Ha superato 22 test per poter dare valutazioni credibili; ora decide prezzi e disponibilità per i migliori caffè verdi in circolazione.
Il Q-Program, che dal nome sembra uscire da uno 007, è nato proprio con l’intenzione di creare un punto di riferimento comune tra acquirenti e venditori, sulla qualità del caffè.
R come Robusta (versus Arabica)
Il luogo comune, che vede la robusta (a destra in foto) come varietà sfigatella, trova l’appoggio del mondo Specialty. Generalizzando, possiamo dire che la è più amara e astringente.
In rari casi, può essere qualitativamente migliore dell’Arabica (più delicata e aromatica). Per esempio, se parliamo della Robusta Capiroyal, pregiatissima indiana raccolta a mano, vanigliata, speziata.
S come SCAE (Specialty Coffee Association of Europe)
Sono i non plus ultra dello Speciality coffee, i piccoli chimici del Vacuum (andare alla lettera V), i secchioni della tostatura, gli evangelizzatori della tazzina premium-price. Continuo?
Si sono associati, i professionisti del caffè che rivendica qualità. In Italia i soci sono 500, tra aziende e baristi più o meno hipster. Tra loro, parlano di standard di eccellenza. Poi formano adepti, organizzano analisi sensoriali, comunicano il loro credo.
T come Tostatura
Okay la scenografia dell’estrazione (è solo la vetrina di questa curiosa subcultura), ma il termine Speciality non si riferisce di certo a un apparecchio di design, bensì a una filiera del caffè, che si differenzia dalle altre fin dalla piantagione, passando per una torrefazione degna di risaltarne tutto il potenziale aromatico.
Uno Speciality non può dirsi tale se non è stato tostato “a fresco”.
U come USA
Se la SCAE può fregiarsi di promuovere la cultura del caffè di qualità in Europa, lo deve a una sorella maggiore molto zelante che vive oltreoceano.È la SCAA (Specialty Coffee Association of America), che nel 1982 iniziò a radunare piccoli torrefattori.
V come Vacuum
Sofisticato marchingegno che si serve di due sifoni (da qui il nome del metodo di estrazione Syphon) e di due capitoli buoni del manuale di fisica per sopperire al dramma che affligge il nostro tempo: il fondo del caffè (comune al più semplice caffè ad infusione).
Chiamata caffetteria a depressione: l’acqua in ebollizione sale nel contenitore superiore sotto forma di gas, passanto attraverso il macinato. Qui si riforma il liquido, che precipita verso il basso, filtrato da un tappo di sughero.
Z come Zero
No, non ci riferiamo al caffè della Coca Cola Company, che in questo glossario stona come Marylin Manson tra le voci bianche del Piccolo Coro dell’Antoniano (quello dello Zecchino d’Oro).
Zero è la tolleranza verso i difetti. Perché uno Specialty, all’assaggio di cui sopra, deve essere praticamente perfetto: secondo il Protocollo del cupping (ebbene sì, esiste) deve aver ottenuto un punteggio maggiore di 80/100 per essere definito tale. Si fanno le pulci anche sul rapporto caffè/acqua (e quale acqua, poi?) , sulla granulometria, sul tempo di contatto..Insomma, alti standard e bacchettate sulle mani.
[Crediti foto: sprudge.com ; baristamagazine.com; Jared Wardle; leboncafe.fr ; officina.it]