Nelle pieghe di un mio sano disinteresse per mondanità, splendide cornici e comunicazioni ampollose, l’istinto giornalistico (o forse il masochismo) purtroppo batte ancora. Sarà per quello che negli ultimi anni di Vinitaly, Wine Festival di Merano e fiere affini mi sono sempre ritagliato un po’ di tempo per assaggiare i vini dei very important people italiani. Volevo scrivere “della casta” ma non ce l’ho fatta. Anche perché da vari mesi rimpiango Craxi.
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Non è un rigurgito edonistico degli anni ’90, o panteismo d’accatto. Non solo, almeno.
Fare vino per gente che potrebbe concedersi Romanéé-Conti, più che diffondere il loro marchio, è un istinto irrefrenabile. Che lo facciano per passione, noia, diversificazione, perché sono bravi (Francesco Moser) o per imposizione dell’analista, ci sono e bisogna confrontarcisi.
O forse no.
ROCCO SIFFREDI
Quando “Rocco”, rosso delle Colline Pescaresi prodotto da Castorani dell’amico ex pilota di Formula Uno Jarno Trulli (così abbiamo due vip in uno), sbarcò al Vinitaly, nel 2013, fioccarono le battute sessuali (non c’è peggior conformismo italico che sentirsi trasgressivi nel fare battute sul fallo di Siffredi) e i luoghi comuni.
Il vino è discreto e l’operazione commerciale ha dato un po’ di visibilità alla regione con maggiore distanza tra la qualità straordinaria del territorio e la sua diffusione nell’immaginario.
Però su Google con “Rocco Siffredi vino” siamo rimasti al 2013…
BRUNO VESPA
Vini accorti, piacioni, solidi e ben eseguiti, autodefiniti nazionalpopolari, che ricordano bene il Bruno nazionale, per cui uscire dal seminato è morfologicamente impossibile.
Un bianco, un metodo classico e tre rossi, trionfo di pugliese conformismo [nel senso che si adagiano allo stereotipo del vino regionale tipico, non ho detto nulla contro la Puglia!!!].
Ci ricordano anche che, per quanto ci piace considerare finita la fase dei vinoni concentrati, dolci e caldi, quelli che ne bevi due sorsi e non ne puoi più, il 95% beve ancora cose così .
MASSIMO D’ALEMA
Il video – long version – in cui racconta la sua nuova vita enologica a Narni è già leggenda. Eppure non lo trovo più. E piango perché c’era il racconto dell’oliveto che costava come il PIL del Giappone, il cane che uccide, i vini senza solforosa: un tripudio.
Anche in vigna D’Alema conserva il suo piglio tronfio e inflessibile e con l’età pare non accorgersi più che una certa solennità, mascherata da autorevolezza, ormai fa ridere. O al massimo genera tenerezza, al netto dei bonifici sospetti di cui si parla in questi giorni.
Le vigne (internazionali) le ha affidate all’enologo maximo d’Italia, Riccardo Cotarella: tirano fuori un pinot nero fermo e uno versione metodo classico (meglio il secondo), e un Cabernet Franc che non ho assaggiato.
Alloctoni rules.
ALESSIA BERLUSCONI
Rubo la foto da Intravino, dove scopro che anche Fiorenzo Sartore ha fatto un giro di giostra vinitalesco da Alessia Berlusconi, nipote di tanto zio, che da pochissimo produce Contessa 9.9, da uve Marzemino.
Io, che sono meno serio, di appunti e voti non ne ho dati, ma segnalo che siamo in pieno vino-marketing, ovvero prima l’idea e poi il vino.
La grande idea sarebbe produrre un vino scarico a livello alcolico in bottiglia da mezzo litro. Mi lascio sfuggire che per decidere a priori il grado alcolico l’interventismo in cantina temo debba essere molto invasivo.
Mi spiegano perché non è così, che ci sono stati anni di ricerca, ecc. Vado via poco convinto.
OLIVIERO TOSCANI
Prima di dire che i Veneti sono tutti ubriaconi, Toscani ha cominciato a produrre. Qui il valore “autenticità” è sicuramente più elevato (anche se “i vini prodotti dall’eccellenza della luce”…): il suo vino, a Toscani, piace davvero parecchio, lo si capisce da parecchie cose, sicuramente lo rispecchia.
A me un po’ meno: il Quadratorosso, fresco e sincero, si beve bene, ma la tostatura strong barriquecentrica del suo OT a me pare proprio faticosa. De gustibus.
Menzioni d’obbligo per: Roberto Cavalli che fa un vino leopardato (non è uno scherzo!), Sting, ormai istituzionalizzato in Toscana, come la sua splendida villa a Figline Valdarno (entrata nella centrifuga della cronaca poco tempo fa per le vendemmie/sfruttamento a pagamento); Al Bano che fa vinoni pugliesi non esattamente scattanti.
Ho provato il rosso, ma il nostro produce anche un bianco da uve Sauvignon e Chardonnay, ma scoperto che si chiamava “Felicità” non ho retto il colpo.
Ci sarebbe anche Madonna, ma i suoi non li ho assaggiati. Tra una Barbera e un Pinot Grigio in omaggio all’Italia e un Cabernet Sauvignon, produce un vino analcolico. Sì, analcolico, ossimoro assoluto.
Un po’ come dire che Madonna è bella.