Come nelle altre cose della vita, anche a tavola capita di sviluppare insofferenza, possono essere alcune voci del menù o gli ingredienti che compongono i piatti. A voi non capita? Bé, a me, mangiatrice indefessa, francamente sì.
Prima di coinvolgervi in questo sfogo non richiesto, voglio precisare un paio di cose: intanto che descrivo sensazioni evidentemente personali. Poi, che nel caso degli ingredienti di un piatto vale solo la regola: ci azzecca/non ci azzecca. Ovvero, sono scelte davvero necessarie all’armonia del piatto o la decisione del cuoco è dettata dalla tendenza del momento?
Detto ciò, ecco cosa mi rabbuia quando arriva il menù:
L’era glaciale: gelato ad ogni costo.
Ricordo ancora il gelato di coniglio alla cacciatora di Don Alfonso, gustato oltre un anno fa e con immenso piacere. Poi però, e senza preavviso, è giunta l’era glaciale. Ovunque siedo m’insegue la pallina di gelato alla senape, alla ricotta, al parmigiano, al ketchup, al pomodoro nascosta sotto pesci, verdure, salse e carni, pronta a penetrare le gengive per poi sciogliersi come neve al sole rendendo il piatto simile a una pozzanghera. Va bene il contrasto di temperature, ma se persino la trattoria di quartiere ci rifila il gelato di pecorino su rigatone alla pajata bollente è ora di alzarsi in piedi e in un moto di ribellione gridare: E BASTA CO STO GELATO!
Largo ai copy: l’invasione dei cappuccini.
Da qualche tempo nei menù dei ristoranti, soprattutto nei moderni wannabe, trionfano cappuccini, espressi o espressini che manco al Bar della Pace. Ora capisco che la parola cappuccino contenga l’idea di un piatto spumoso e caldo, ma lasciate che ve lo dica, a leggere certi nomi viene l’orticaria. E comunque esistono bravissimi copy in cerca di lavoro, potrebbe essere un’idea, no? A proposito di spume.
Come l’aglio nella cacio e pepe: le spume.
Ricordate la regola del ci azzecca/non ci azzecca? Nel caso delle spume, è possibile che giochino un ruolo fondamentale nel piatto, diciamo che in generale, non ho un problema personale con le spume. Quando però si forza la mano, e pure il legame tra ingredienti che hanno poco da dirsi ricorrendo alla spuma allora no, non ci sto. Se ‘sta colata di bavetta bianca, rossa, gialla, viola, sta al piatto come l’aglio nella cacio e pepe, lo ribadisco: NO.
Il prossimo salatino da banco: baccalà mantecato.
E’ il momento suo. Impensabile trovare un ristorante, una trattoria, un’enoteca, un fast food, un’osteria di quartiere che non lo abbia sul menu. Non è escluso a breve, l’affiancamento alle noccioline nei peggiori banconi dei bar di Caracas. Un’epidemia, una malattia, un condizionamento sociale, giuro, il primo ristorante che bonifica il menu dal baccalà mantecato avrà la mia incondizionata stima. E sì che, per inciso, io amo il baccalà mantecato.
Dall’alta cucina ai ristoranti di mezzo è sempre maialino.
C’è stato un tempo in cui ogni ristorante stellato proponeva il maialino. Era una firma, un piatto in franchising, un vezzo da stella Michelin che per fortuna ha fatto il suo tempo. Ora però ritroviamo il maialino nei ristoranti di fascia media, trionfante, con il suo aspetto squadrato e grondante, con la cotenna, i grassi e tutto il resto. Ripeto, non è una questione di gusto, io stravedo per il maialino. Ma non se ne può più, cuochi ascoltatemi: basta.
Quinto, quarto, terzo…
Ok, so che mi odiate solo per averlo pensato, ma possiamo avere almeno uno, dico uno chef che rinuncia all’amato quinto quarto? Eh? possiamo?
Ho esaurito le forze, con la giugulare rigonfia sudo per lo stress. Se essere arrivati sin qui vi fa lo stesso effetto lasciate i vostri “non se ne può più” nei commenti. Aiutano a crescere.