77 anni, lunghissima barba bianca e rango internazionale, Roberto Catinari è il celebre guru del cioccolato di cui nessuno ha sentito parlare. O quasi, insomma, la risonanza non è paragonabile al credito da venerato mestro, cosa che, secondo i più, dipenderebbe da quel non so che di naif e distaccato dai doveri del commercio che lo rende ancora più adorabile.
La storia di Roberto Catinari inizia a Bardalone, minuscolo borgo delle montagne pistoiesi, da cui se ne va a 17 anni. Destinazione Svizzera, per caso, per bisogno, “perché la Svizzera era il paese delle mucche, dei pascoli verdi ma soprattutto della cioccolata“. (Una delle cose che sorprendono di Catinari è il candore con cui ammette di essere sempre stato goloso: oltre 50 anni di lavoro non gli hanno tolto il piacere del cioccolato, il gusto di annusarlo, di toccarlo, di mangiarlo).
E dunque Winterthur, Svizzera. Anni da ragazzo di bottega in una pasticceria, soldi pochi e lavoro tanto, poi le prime responsabilità, le promozioni, le soddisfazioni.
“Se uno vuole imparare, se lo vuole davvero, può sempre farlo. E’ la volontà che ci vuole, è quella che conta“.
Una qualità che, per Catinari, a noi italiani non manca, insieme alla fantasia, e alla voglia di fare cose nuove. Nei suoi discorsi traspare sempre un fondo di fiducia e amore per l’Italia e la sua gente, anche se la crisi si percepisce anche qui, eccome: “Meno sei prodotto di massa, più risenti. Si lavora meno e si lavora male, è tutto più spento“.
Ma torniamo al 1974, e al Catinari ventisettenne che decide di andarsene dalla Svizzera, tornare in Toscana e aprire un laboratorio suo, a Bardalone prima e ad Agliana poi. Da qui in poi sono premi, riconoscimenti, e il privilegio di essere considerato il caposcuola della chocolate valley toscana: quell’area tra Pisa, Pistoia e Prato dove sono concentrati maestri cioccolatieri del calibro di Slitti, De Bondt, Amedei, Pistocchi.
Lavora il cioccolato come in Italia fanno ancora in pochissimi, senza mortificare l’opera del suo ingegno con scorciatoie o scelte al ribasso. “Io mi diverto ancora a fare quello che faccio. La mattina mi sveglio sempre pieno di voglia di fare, di creare, di nuove idee“. E per Catinari parlano i numeri: 110 tipi diverse di praline, dai classici come i gianduiotti o la frutta candita a creazioni scala-bontà con noci e miele o marzapane al caffè, nate dalla necessità che il guru barbuto prova di farle. E ancora granulati, torroncini, schiacciate, barrette, creme spalmabili e ogni variazione sul tema cioccolato concepibile da mente umana. Tutte cose che inducono piacere oltre qualunque logica.
Sebbene abbia ricevuto millemila proposte e continui a farlo, Catinari ha scelto la dimensione artigianale nel senso autentico del termine: pochissime esportazioni (in Europa, solo da quest’anno in America), una decina di dipendenti, 17 tonnellate di cioccolato all’anno. Di queste, solo 2 prodotte direttamente in laboratorio partendo dalle fave – tra le altre, impossibile non menzione quelle di Sao Tomè che gli manda l’amico e esperto selezionatore Claudio Corallo, odori e sapori tra i più intensi mai sentiti.
E non abbiamo ancora parlato di uova. La vera ragione del piccolo culto cresciuto intorno alla sua figura sono proprie le uova di cioccolato, capolavori di pazienza certosina e abile manualità. Tutte, da quelle sobriamente decorate con Buona Pasqua e qualche ghirigoro, alle più vivacemente chiassose con personaggi in pasta zucchero e pulcini che spuntano qua e là, sono decorate a mano: per farne una ci vogliono anche 6-7 ore. Certo, non possono costare poco. E prima che qualcuno cominci a pontificare sul primato dell’estetica che soverchia quello del palato, ve lo dico subito: oltre che bellissime sono, oggettivamente e senza possibilità di replica, buonissime.
Sulla parete di uno dei due negozi di Agliana c’è una lettera, scritta dall’amico e macellaio-star Dario Cecchini, dove si legge una frase che racchiude l’essenza del lavoro di Catinari, della sua produzione e soprattutto della sua persona: “Tu la classe la manifesti con l’arte del mestiere, con la fantasia. Dal Rinascimento toscano sono ancora belli, vivi e vegeti i maestri artigiani”.
[Crediti | Immagini: Giorgia Cannarella]