Visto quella cosa che, da qualche giorno, filtra dai vetri delle finestre? Si chiama luce del sole e non sarebbe affatto male, non fosse che obbliga a constatare che è giunto il momento di fare le dannate pulizie di primavera. Quel che finora era celato dal debole chiarore delle lampadine a basso consumo, ora è rivelato dagli allegri raggi. Se andiamo a guardare negli angolini (ma anche meno nel dettaglio) non faticheremo a trovare dalla più banale e solo apparentemente innocua polvere, a bricioline di varia natura, schizzi, aloni, macchie.
È un campo di battaglia.
E noi, da bravi soldati dell’igiene, dobbiamo scendere in campo.
La strategia.
Sì, lo so che risulterò subito noiosa, ma avete mai sentito parlare di HACCP? È quel sistema di controllo che chiunque si occupi di produzione, vendita, somministrazione di cibi e bevande deve, o dovrebbe, seguire per evitare rischi biologici, fisici e chimici. Come molte cose contraddistinte da un acronimo, è complicato da capire e ancor più da gestire, ma due o tre regolette adatte al caso nostro si possono trovare.
Per cominciare, le 4 fasi della pulizia: rimozione dei residui, detersione, sanificazione e risciacquo. Tradotto in “quotidianese”, togliere le briciole dal tavolo, passare lo sgrassatore e magari sceglierlo con effetto igienizzante, per concludere con un panno pulito imbevuto d’acqua fresca. Perché in cucina esiste sempre il pericolo di contaminazione, in questo caso chimica, e non vorremmo tagliare il pane su un piano di lavoro con tracce di detersivo, vero?
Per evitare troppi passaggi, il modo c’è, visto con i miei occhi a gennaio sul palco di Identità Golose (non si smette mai di imparare in certi congressi!): Heinz Beck che sale sul palco, prima del suo intervento, svita il tappo di una bottiglia di aceto e, con una buona dose di olio di gomito, tira a lucido l’acciaio del bancone. Igiene garantita al 100% con un prodotto al 100% innocuo, anche senza risciacquo.
La via da seguire.
Alto, basso, centro: non è un nuovo modo di vedere gli schieramenti politici o un’azzardata formazione calcistica, ma l’ordine delle pulizie. Prima i pensili, poi il pavimento, infine i piani di lavoro. Cominciare dall’alto va da sé: polvere grasso e sporcizia varia accumulati sul ripiano superiore dei pensili cadono inevitabilmente giù, su quel che c’è sotto. Ma per un momento resistete e lasciate stare isola, tavolo e bancone, concentrandovi invece sul pavimento che va SEMPRE spazzato PRIMA di occuparsi dei piano.
Infatti, soprattutto chi ancora va di ramazza, solleva inconsapevolmente una quantità di particelle potenzialmente nocive e simpaticamente fluttuanti (le vedete illuminate dai raggi della luce solare di cui sopra), che dopo aver svolazzato qua e là, stanche, finiscono per posarsi sui piani. Tra queste, l’insidiosa Listeria monocytogenes, batterio volatile abbastanza pericoloso.
Certo, è legato soprattutto a una scarsa pulizia, e non è il nostro caso, ma potrebbe essere quello delle suole delle nostre scarpe. Quindi, prima il pavimento, poi i piani, e non ne parliamo più.
I prodotti.
Il già citato aceto, in versione basic (ci serve per pulire, non per condire l’insalata) costa decisamente meno dei detergenti industriali, si usa puro o diluito sulle superfici, elimina il calcare da lavelli e pentole (riempitele fino all’orlo di acqua con un paio di cucchiai di aceto, fate bollire, svuotate, asciugate e specchiatevi) e anche per sanificare il pavimento. Se il sentore pungente vi infastidisce, provate acqua e bicarbonato o anche succo di limone, strofinando macchie e incrostazioni con mezzo agrume spremuto.
La chimica riservatela ai casi disperati: per forno e bruciatori del fornello, i detergenti specifici in schiuma non hanno rivali, così come certi anticalcare di marca sono imbattibili in caso dei residui “antichi” e stratificati alla base dello scolapiatti. Piani in vetroceramica a prova di aloni? Spugnetta dei piatti bagnata e ben strizzata con 1 (di numero) goccia di sapone per piatti, insaponata veloce, passaggio con straccio imbevuto d’acqua e strofinaccio asciutto. Garantito.
Gli interni.
Nota dolente soprattutto per chi, come la sottoscritta, è accumulatore seriale di barattoli, scatolette, vasetti, pacchetti e bottigliette. Almeno due (quattro?) volte all’anno, occorre sforzarsi, svuotare basi e pensili e passare in rassegna il contenuto, gettando tutto quello che è scaduto (almeno da più di sei mesi!) e dando una rinfrescata alle stoviglie meno usate che, per quanto al riparo dalla polvere, magari un giro in lavapiatti non lo disdegnano.
Finalmente vuoti, ripiani, pareti e sportelli vanno passati dentro e fuori con il nostro detergente di riferimento. I mobiletti si devono perfettamente asciugare (meglio lasciarli aperti per un po’) prima di riporre nuovamente al loro interno tutto quel che contenevano, per evitare la formazione di muffe.
Capitolo frigo.
Staccate la spina. Svuotatelo, mettendo i cibi deperibili e i surgelati in borse frigo e sacche termiche, con tavolette refrigeranti, e gettando i soliti scaduti o comunque i cibi con un brutto aspetto, quale che sia. Se il vostro modello ha bisogno di essere sbrinato, seguite le indicazioni sul libretto di istruzioni soprattutto per quanto riguarda la raccolta dell’acqua che sgocciolerà man mano che si sciolgono gli iceberg in freezer (ricordate? il pavimento lo avete già pulito e non volete allagarlo e lavarlo di nuovo!).
Nell’attesa, smontate e lavate ripiani, cassetti e portaoggetti. Quello delle uova buttatelo via: conservare le uova fuori dalle loro confezioni è il modo migliore per far viaggiare gli eventuali, e abbastanza probabili, microrganismi presenti sul guscio da un cibo all’altro nel vostro frigo.
Per tutti gli altri pezzi, acqua calda e sapone per i piatti, poi passata finale con il nostro amato aceto (o bicarbonato), che preverrà anche odori fastidiosi. Non dimenticate di pulire fondo, pareti e soffitto. Quando è tutto lindo e lustro, riaccendete il frigo e attendete 2-3 ore prima di rimettere dentro il cibo: lo avevate messo nelle sacche termiche, vero?
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