Tempo fa, da queste parti, ammonivo la demonizzazione estrema dell’Ikea. Per chi conosce il mio rapporto conflittuale con il colosso svedese poteva apparire un esercizio di equilibrismo quasi suicida, ma mal digerisco l’idea che i nostri fallimenti economici siano sempre colpa degli altri.
In questi giorni però l’ago della bilancia per forza di cose si sposta, perché Ikea è stata investita dal treno delle irregolarità alimentari. Prima sta benedetta carne di cavallo nelle polpette (su cui bisognerebbe fare chiarezza in termini di quantità e motivi di provenienza), ora sotto i riflettori sono i dolci. Ikea ha infatti bloccato la vendita delle torte al cioccolato in tutti i ristoranti del gruppo in Italia, a seguito dei risultati delle autorità sanitarie cinesi che hanno rilevato tracce di colibatteri. Però in Italia siamo al sicuro, dicono alcune fonti del Ministero della Sanità. O forse no. Insomma il solito tira e molla che illustra che è il Re a essere nudo, ovvero il tema della sofisticazione alimentare. Perché se vivi in un mondo che contempla il rischio come base, la linea del lecito e del salutare è sempre mutevole. Oggi tocca a Ikea, ieri a Findus, domani a chi?
Eppure la volete una misura di forza e sicurezza di brand (nel bene e nel male)? Leggo oggi sul Corriere che Ikea, insieme alla società alberghiera Marriott, ha deciso di investire in una catena di alberghi economici: 50 in Europa in 5 anni. La catena si chiamerà Moxy, le stanze costeranno sui 60 euro a notte, i mobili non saranno Ikea e si partirà a Milano nel 2014. Dario Di Vico nell’articolo (non online) ribatte sull’autolesionismo italiano, ricordando come il paradosso di farsi sconfiggere sul piano del mobile si allarga oggi alla questione turistica, nonostante siamo stati capaci di esportare il modello romagnolo (però giustamente dice che siamo marginali, frammentari e con un’offerta eccessiva: 34.000 alberghi, il doppio della Francia) e arriva al b&b, dove finiamo per venir sorpassati a sinistra.
Riflessioni giuste, ma anche questa volta mi sono perso il punto in cui qualcuno spieghi perché, con i salari più bassi d’Italia, un impiegato in trasferta o un turista dovrebbe dare 100 euro a notte all’albergatore medio di Roma per un servizio che ne vale la metà, ma forse ho letto male. Ora in molti finiranno per demonizzare la globalizzante azione di Ikea e Marriott; saranno quelli che ce l’hanno contro chi non vota giusto, contro quelli che non comprano i libri e guardano la televisione, contro quelli che non cercano il secondo lavoro per comprare il divano italiano, contro quelli che fanno pagare troppo poco gli aerei, contro quelli che non vedono abbastanza film italiani e ovviamente contro chi fa le polpette e le torte irricevibili.
Insomma è colpa dell’Ikea anche stavolta o il sistema capitalistico italiano è incapace di far fronte alle esigenze di massa, le nostre esigenze?
[Crediti | Link: Dissapore, Ansa, Corriere]