Dici piola a un piemontese ed è subito festa. Lo fai nel resto d’Italia e ti guardano con aria stranita. La piola è quel meraviglioso luogo dove il tempo sembra essersi fermato. E non solo poeticamente. Le concezioni spazio temporali a volte saltano davvero, considerata la quantità di vino che si può ingerire in una sola serata, complici i gestori alla mano e l’atmosfera conviviale.
Della serie, entri in una sala piena di sconosciuti e esci che sono tutti i tuoi migliori amici.
Rifugio di anziani e di giovani, categorie che per definizione non sanno come passare il tempo e hanno meno soldi nel portafogli, le piole appaiono come il paese dei balocchi agli studenti fuori sede che arrivano disorientati in una città che all’inizio pare un po’ freddina, e scoprono che quei posti che hanno dovuto difendere con le unghie e con i denti nelle loro città, a Torino sono una realtà socialmente rilevante e acclamata.
Via libera quindi a tomini al verde, salame cotto e agnolotti, che qui la pappa è buona e costa poco.
Grati al giornalista Luca Iaccarino che le piole le ha fatte scoprire anche a chi non ne sospettava minimamente l’esistenza, vogliamo offrirvi una piccola panoramica di 5 luoghi che “resistono”.
J’amis D’La Piola, Corso Mocalieri 18.
Se esistesse uno “spirito delle piole” di sicuro abiterebbe nelle bocciofile. Questa, in particolare, è affacciata sul Po e evoca, al primo ingresso, immagini di partite a tressette e canasta oltre al Campari liscio a mezzogiorno.
Una tana dove passare il tempo e abbandonarsi alla cucina casereccia e rigorosamente piemontese: i tomini e acciughe al verde, peperoni e bagna cauda. Qui il menù a prezzo fisso è arrivato molti anni prima delle grouponerie all-you-can-eat. Non vi fate remore: andate a pancia vuota e concedetevi antipasto primo e secondo e dolce. A pranzo non spenderete più di 15 euro.
Unica pecca, il circolo è riservato agli iscritti e bisogna tesserarsi, ma il dehor sul fiume ne vale la pena.
Cantine Vittoria, piazza della Vittoria, 31-b.
Altro luogo della conservazione, i mercati: quello di piazza della Vittoria è meno famoso rispetto a Porta Palazzo ma vale una capatina. E quando siete sazi di urla e colori fermarsi alle Cantine Vittoria è d’obbligo.
Una stanza zeppa di ciapapuer, parola presa in prestito dal torinese e intraducibile in italiano, che indica tutti i ninnoli, gli oggetti e i soprammobili che stanno nelle case delle nonne a prender polvere.
Tini in acciaio e uova sode sul bancone del bar fanno da cornice alla cucina verace e sincera, dai piatti quotidiani, con il menù pranzo a 10 euro che cambia tutti i giorni. Ma se non avete fame, o soldi in tasca potete solo bervi un buon bicchiere di dolcetto o arneis, che al banco costa 1 euro.
Menu a prezzo fisso: 10 euro.
Circolo Noà, corso Regina Margherita 154.
Un circolino Arci vecchio stile, immerso in quella baraonda perenne che è il quartiere di Porta Palazzo. Ottimo rifugio per le piovose serate torinesi, qua dentro si può fare di tutto, capita che mentre ti stai sbafando un hamburger (che fa concorrenza alle tante hamburgherie fighette per bontà e per il prezzo che parte da 4 euro) arrivi un ragazzo con la racchetta da ping pong per una sfida all’ultimo sangue.
E ancora: biliardino, carte e un pianoforte nell’angolo che viene considerato solo nelle serate più alcoliche.
Quelle delle cene a tema, dove, seduto in una lunga tavolata accanto a decine di sconosciuti, sei grato agli immigrati che dal sud hanno fatto conoscere ai torinesi la ‘nduja.
Trattoria Valenza, Via Borgo Dora, 39.
Un’istituzione. Chi ha voglia di affrontare la calca del Balon il sabato mattina potrà vivere un’esperienza sensoriale di alto livello, circondato dai brocanteur, dal venditore di origano e dal suonatore di organetto, che se siete fortunati vi canterà De Andrè.
Anche se le perle più rare si colgono nelle serate inaspettate: il vecchio proprietario, Valter, è un po’ scontrosetto ma se capitate nella sera giusta vi intratterrà con aneddoti sulla vecchia Torino.
Ovviamente conditi di spergiuri, mentre mangiate pasta e fagioli con le cotiche, la trippa o gli agnolotti. Verace e spartana come poche altre. Vi diamo un’indicazione: il caffè delle casa, con panna e liquore NON si rifiuta.
La Familiare, Viale Michelotti 290.
Altra bocciofila, altro giro. Familiare di nome e di fatto, questo angolo di paradiso sul Po è un po’ più distante dal centro delle altre piole citate. Pare superfluo quindi dirvi che il viaggio vale il pranzo (o la cena).
Vino onesto e che promette bene, una delle poche dove si mangia anche il pesce. Al contrario di quanto succede in altri posti più raccomandabili (e più raccomandati) non vi dovete far spaventare dal menù elencato a voce, i prezzi sono stracciati.
Posto perfetto per chi è in città e ha nostalgia delle braciate con gli amici: la grigliata mista sbranata a primavera nel dehor è indimenticabile.
Ora non vi resta che provare. Ultimo consiglio, annotarsi e ripetere: le piole non sono adatte a chi disprezza l’amaro a fine pasto.
[Crediti | Immagini: Flickr: Giovanni, Quandoo, Archimemoro]