“Devi sapere che questo edificio, prima di diventare Baladin, era il bar Piemonte e prima ancora, un ufficio postale. Ce ne siamo accorti durante i lavori di restauro nel 1986, scrostando i muri portanti abbiamo trovato nell’ordine le insegne dei locali che furono, e lì fuori non c’era la piazza ma una buca enorme, che proprio in quegli anni fu riempita per diventare ciò che vedi oggi”.
Siamo a Piozzo (CN), la voce narrante è di Matterino Musso alias Teo, che ci ha accolto nel suo pub per una birra e per raccontarci l’avventura che, come vuole la leggenda, ha innescato il movimento, pirata prima, e realtà piuttosto solida oggi, della birra artigianale italiana. Oggi al guru Musso fanno capo una miriade di progetti, da Casa Baladin, casa della birra con camere, al romano Open Baladin, incrocio riuscito tra pub e brassierie, solo per citarne due.
Dissapore: Perché la birra nella Langa, terra di vini che solo a nominarli incutono rispetto?
Teo Musso: “Tutto inizia da un conflitto con mio padre, produttore di vino. Da bambino potevo berlo ma solo allungato con l’acqua. Crescendo, più per sfida che altro, mi vendicavo tirando fuori una bottiglietta di birra al momento dell’assaggio. Poi la folgorazione per la Chimay tappo blu, una belga d’abbazia che ha rivoluzionato il mio modo di pensare alla birra. Potevo finalmente paragonarla al vino, aveva mille note aromatiche che rendevano facile abbinarla al cibo”.
D: Da qui l’idea, abbastanza avveniristica allora, della birra da pasto?
TM: “ Si, decisamente. Considerare quella Chimay una bevanda-passatempo relegandola al solo pub era una vera sventatezza, anzi, occorreva trovare il modo di legarla alla tavola. Per capire come, ho iniziato l’andirivieni con il Belgio, paese d’elezione della birra artigianale, dove, grazie a una licenza da importatore occasionale, prelevavo personalmente le bottiglie più interessanti per farle conoscere agli avventori del pub aperto nel frattempo a Piozzo, per poi iniziare una mia produzione nel 1997. Pensa che ero arrivato ad avere oltre 240 tipi di birre alla carta”.
D: A chi ti sei ispirato per i metodi di produzione?
TM: “Ho avuto due maestri, grandi e agli antipodi: il primo era un teorico, anche un po’ filosofo, vedeva la birra come espressione del momento. Ancora oggi recito una sua massima tipo mantra: “non ti preoccupare, se la birra non è buona adesso, poi tornerà in equilibrio”. L’altro invece era un ingegnere della birra, uno scienziato tutto numeri e formule. Attraverso queste visioni contrapposte ho appreso la precisione di tempi e ricette, l’importanza degli ingredienti, ma allo stesso tempo la capacità di emozionarsi e di comunicare un’idea.”
D: E arriviamo a Baladin… già, perché Baladin?
T: “Baladin è una parola francese ormai in disuso che significa trovatore, cantastorie, Baladin è un mondo immaginario che affonda le radici nei personaggi di un circo itinerante visto a Piozzo quando avevo 17 anni. Il circo, una compagnia di artisti bretoni, si chiamava Bidon, la sua atmosfera magica e sognante mi colpì tanto che, chiesta la macchina fotografica a un amico, trascorsi con loro intere giornate fotografando tutto. Non mi capacitavo di come quelle persone potessero vivere così, libere e ispirate, un’esperienza che mi ha aperto la mente.
D: Come sono stati i primi tempi da pionere della birra artigianale nel tuo pub di Piozzo?
TM: “La prima produzione, nel ’97, fu accolta malissimo, era buona ma non incontrava il gusto dei clienti: li persi quasi tutti. Per trovarne di nuovi dovevo andare fuori. Ho bussato alla porta di oltre 500 ristoranti italiani portando personalmente due casse di Isaac e Super, la prima da abbinare ai sapori delicati, l’altra a quelli più complessi e saporiti. Era un investimento folle, semplicemente non me lo potevo permettere, ma la qualità paga, da quella idea si è sviluppato il progetto Baladin. Oltre all’interesse dei media, che hanno spinto gli appassionati verso Piozzo”.
D: Ma al netto del tuo lavoro, qual è la prima cosa che consigli di abbinare al cibo, il vino o la birra?
TM: “Intanto siamo riusciti a far passare l’idea che cibo e birra possono convivere felicemente. Mica facile. Per anni noi italiani abbiamo bevuto birra di pessima qualità, siamo stati, passami l’espressione orribile, lagerizzati dalla Germania che ha azzerato la complessità aromatica della birra con un easy drink senz’anima. Oggi beviamo birra in tutti i ristoranti migliori d’Italia, e, a volte, a causa di una minore acidità, la abbiniamo con i piatti della nostra tradizione culinaria meglio del vino. Per esempio, presto presenteremo una combinazione fantastica, quella tra il cioccolato e le nostre birre, abbinamento impossibile con il vino viste le caratteristiche chimiche”.
D: Sostenibilità e chilometro zero, cosa significano per la birra?
TM: “Sono una necessità, il confine tra il nostro mondo e quello industriale. Baladin è arrivata a produrre quasi l’80% degli ingredienti che usa nelle sue birrre, siamo ormai un birrificio agricolo, simbolo d’italianità. Ci crediamo come ci crede Slow Food, e anche riguardo al consumo energetico, elettrico e idrico, in un paio d’anni diventeremo autonomi sfruttando le rinnovabili”.
D: Alla fine hai fatto pace con il mondo del vino?
TM: “Beh, forse sono riuscito a trovare il punto d’incontro tra la birra e i grandi vini italiani. Si chiama Terre e Lune, l’idea mi è venuta quando, anni fa, ho ricreato la cantina che avevo in casa, un mondo misterioso dal quale, per ovvi motivi alcolici, un bambino come me era escluso. Potevo solo guardarlo, affascinato, attraverso uno spioncino sulla porta, la stessa che oggi segnala l’ingresso alla mia cantina. In sostanza faccio questo questo: negli anni ho accumulato 160 botti provenienti dalle migliori cantine italiane, Sassicaia, Fontanafredda, Castellari, Teuto… bene, le ho riutilizzate per affinare la birra. Il risultato è stupefacente, due birre mai sentite: Terre, dedicata ai vini rossi e Lune, a quelli bianchi. Così ho finalmente fatto pace con mio padre.”