Lo so, è un momento sottotono per il cibo in TV: le trasmissioni più seguite, i vari Masterchef, Hell’s Kitchen o Cucine da Incubo non sono ancora iniziate, e se si esclude Unti e Bisunti, Bake Off (di cui parleremo a breve) e La Prova del Cuoco (ma vabbè) non restano che le repliche delle repliche sul Gambero Rosso Channel. Però ecco, piuttosto che guardare La Cucina delle Ragazze e Vegetale accendo la radio. Invece, non mi è sfuggita a la presenza di ben 4 stelle Michelin in un programma che non parla di cibo.
Sto parlando di Ciccio Sultano, due stelle Michelin per il ristorante Il Duomo di Ragusa Ibla, e Philippe Léveillé, una stella due stelle Michelin per il ristorante Miramonti L’Altro a Concesio, in provincia di Brescia, concorrenti fino all’altra sera di Pechino Express, adventure reality di Rai2.
Ne sentivamo il bisogno?
La loro presenza ha lasciato poche tracce, non ci sarà un prima e un dopo nella storia della tivù. Su Twitter i commenti all’eliminazione passavano dall’indifferenza (“Meno male, erano insipidi”) al dispiacere contenuto (“Che peccato”). Per certi versi non sono neanche dispiaciuti. Poco vittime dello star system, sono stati naturali. L’approccio al viaggio, rilassato, senza preoccuparsi troppo della gara, era quello giusto.
Ma il vero motivo per cui li ho seguiti è stato capire cos’avrebbero combinato due chef di quella levatura in un reality un po’ grottesco e a volte trash. Dove ai concorrenti che gareggiano attraversando il nuovo mondo per raggiungere la tappa finale, Rio de Janeiro, viene chiesto di sottoporsi a prove tipo: attraversare il deserto correndo nudi, mangiare un porcellino d’India, improvvisarsi acconciatori di bellezze locali.
Chissà perché la produzione di Pechino Express ha pensato proprio a Sultano e Léveillé (Ciccio e Philippe, se preferite), poco noti al pubblico della TV generalista e non esattamente personaggi televisivi.
Azzardo un’ipotesi: gli chef in televisione funzionano tanto che oggi progettare un reality senza di loro è diventata un’eresia. Tipo: dacci oggi il nostro chef quotidiano.
Forse è più interessante capire il rovescio della medaglia, e cioè perché chef talentuosi e rispettati come Ciccio e Philippe si prestano a operazioni simili. Solo per trainare un nuovo ristorante (I Banchi a Ragusa Ibla per Cicco) o un nuovo progetto editoriale (“La mia vita al burro” per Philippe)?
Bisognerebbe chiederlo a loro adesso che sono fuori da Pechino Express: è valsa la pena correre nudi nel deserto? Ha aggiunto qualcosa all’esperienza culinaria che noi fissati cibo possiamo fare nei loro ristoranti, o alla conoscenza della loro cucina?