Dopo lungo e tenace corteggiamento inizia la collaborazione tra Valeria Brignani, brillante ideatrice del sito Discount or Die e Dissapore.
Se il cibo è Pop? Food as an Icon? Il cibo, icona pop, nella cultura contemporanea? Food Icon? Il cibo come icona popolar-culturale? Il cibo come icona nella cultura pop?
Il packaging da DDR dei prodotti a marchio e Don DeLillo.
Al supermercato ci imbattemmo in Murray Jay Siskind. Nel suo cestino c’erano alimenti e bevande generici, tutti prodotti non di marca, avvolti in involucri comuni, bianchi, dalle etichette semplici. C’era una lattina bianca con la scritta PESCHE IN SCATOLA. C’era una busta bianca di prosciutto affumicato senza la finestrella in plastica per la vista di una fetta campione. Un barattolo di noccioline abbrustolite con un’etichetta sui cui si leggevano le parole NOCCIOLINE IRREGOLARI. Mentre li presentavo, Murray continuava ad annuire alla volta di Babette.
«È la nuova austerità, – disse. – Imballo insipido. Mi attrae. Mi sembra non soltanto di risparmiare i soldi, ma anche di dare un contributo a una sorta di consenso spirituale. È come la Terza guerra mondiale. È tutto bianco. Ci porteranno via i colori per usarli nello sforzo bellico».
Fissava Babette negli occhi, estraendo alcuni articoli dal nostro carrello e annusandoli.
«Queste noccioline le ho già comprate. Sono rotonde, cubiche, butterate, grinzose. Noccioline rotte. Un sacco di polvere in fondo al barattolo. Però sono buone. Ma soprattutto mi piacciono gli imballi in sé. Avevi ragione, Jack. È l’ultima avanguardia. Coraggiose forme nuove. Capaci di scuoterti». Da “Rumore Bianco” di Don DeLillo, 1985.
Il protagonista ed io narrante di Rumore Bianco, romanzo di Don DeLillo, è il fondatore del dipartimento di studi hitleriani in una piccola università nel Midwest degli Stati Uniti. Ha una moglie (la terza o la quarta) obesa ed un collega, Murray Jay Siskind, che si sta battendo per introdurre Elvis Presley come materia di studi del dipartimento di Cultura Popolare Americana.
Tutto è pop, in Rumore Bianco, persino la paura della morte che in un’epoca di consumismo sfrenato (erano i fulgidi anni Ottanta, baby…) può essere sconfitta acquistando ed ingerendo un pionieristico farmaco. Tant’è che buona parte del romanzo è ambientata in un supermercato. Luogo in cui impariamo ad apprezzare ed elevare la marziale (qualcuno direbbe minimal) ed essenziale estetica del packaging di tutto ciò che è sottocosto. Perché è da li, da ciò che li contiene, li avvolge e li protegge, che noi amanti del low-cost, del trash, del pop, cani da tartufo del risparmio, cominciamo ad innamorarci della sostanza.
Nel giallo epatite delle confezione del marchio “Moneta che ride”, private label della Coop, con la sua nomenclatura da DDR, come la birra Birra e la pasta Pasta.
Nell’avanguardia che strizza l’occhio alla pop art, a Andy Warhol e alla sua Factory, della linea di prodotti Valis distribuiti da Iper, che potrebbero permetterci di vivere un’intera esistenza monomarca. Valis è il blue-jeans che indossi, la lampadina che t’illumina, la salsa di pomodoro che ti nobilita la pasta non griffata.
Ed è una forma di dialogo, tra il prodotto e noi, schietto e sincero. Un “bando alle ciance” accompagnato da una pacca sulle spalle, in un mondo che ci impone di sembrar migliori di quello che si è. Liberi dal make-up, dal push-up, della post-produzione del foto-ritocco, pane al pane, vino al vino, le private label della Grande Distribuzione ci fa sentire meno cavie, meno oggetti (di studio da parte dell’Intelligencija del branding e del marketing) e più soggetti attivi e pensanti.
Ed è proprio in quelle confezioni scialbe e sincere, egregiamente descritte da Don DeLillo in “Rumore bianco” per bocca di Murray, che vediamo farsi carne la prima tesi di quel famoso Cluetrain Manifesto, che recita: «I mercati sono conversazioni».
Le private label, dunque, come inizio, punto di origine, pietra focaia di una riforma di noi stessi, della logica dietro ai nostri acquisti e degli ingranaggi della Grande Distribuzione.
[Crediti | Link: Discount or Die, Wikipedia, immagine: Luca Esposito]