Avanguardie del rimorchio o lussuriosi simposi consumati dietro ai banchi di scuola. Scuola di cucina ovviamente. L’ultimo miglio, l’ennesimo traguardo, tappa dei maniaci del cibo che prima ne parlano mentre lo consumano, poi corrono ad iscriversi perché insaturi di sapienza e di aneddoti da raccontare ad amici e parenti.
Così oltre alle dettagliate ricette, i fortunati vincitori della cena a casa del foodies, si aggiudicano anche i racconti delle serate passate a spadellare con sconosciuti di ogni età, ore intere a confrontarsi sulla quantità di zucchero che distingue la composta dalla confettura.
Ci sono in corso degli studi per indagare se è più deprimente per un mangiatore medio, una serata settembrina tutti sul divano a vedere “il filmino” integrale delle altrui vacanze, non tagliato, non montato, commentato live o se è invece meglio ascoltare i racconti dei backstage della scuola di cucina.
Certo è che per il partecipante è una vera gioia, lo dico per esperienza vissuta. Io mi sono buttata su una cinque giorni (non consecutivi) di preparazione pane. Nei tempi morti tra una piegatura e una lievitazione, era una goduria intrattenersi con signore, trentenni single, coppie che si amano a tal punto da condividere anche il lievito madre, chimici mancati, maniaci della mano calda da impasto. Una sorta di setta alimentata da reciproci scambi di indirizzi: dal produttore di farina allo spacciatore di lievito, fino al negozio più fornito di rare attrezzature da cucina. Un mondo che si muove parallelo e non troppo nascosto. Bambini al parco giochi, occhi fissi sugli oggetti del desiderio, forni, abbattitori di temperatura, che trafugano bombolette di burro spray e farina W 350.
Fioccano e si moltiplicano così corsi di cupcake (pink, vintage, con fotografia del battesimo, per cani) o di apertura dell’ostrica Belon. Così specializzati e stagionali da non riuscire a resistere alla tentazione di iscriversi a tutti o a nessuno. Corso di tartare, di ripieno del raviolo, di biscotti di Natale, di pasticceria austro-ungarica, di presentazione, decorazione della tavola per cene vegane.
Sarebbe bello ascoltare i racconti dei poveri cuochi che insegnano ai corsi, sottoposti alle smanie delle ricche signore annoiate o alle domande insistenti di chi vuole apprendere in due ore l’intero scibile di scienza dell’alimentazione, o anche di chi è lì per preparasi ad una eventuale partecipazione a Masterchef.
La scuola di cucina è una grande invenzione se epurata dai corsi di moda, un’occasione per parlare senza sosta di cibo, con persone interessate tanto quanto noi, da cui si può imparare molto. Se vi ho fatto venire voglia, qui trovate un elenco di scuole di cucina nelle principali città.
Confessate ora. Voi avete mai partecipato a un corso di cucina? O non ci andreste manco morti? Oppure qual è il corso di cucina che sognate e che non esiste ancora?
[Crediti | Link: LeiWeb, Immagine: Flickr/Adventurocity]