“Per favore, mi ci mette un po’ d’origano sulla pizza?”, “certo: fa un euro per l’aggiunta”.
Non siamo in una pizzeria gourmet di nuova generazione, dove comunque rischiereste un manrovescio per l’ardire, ma alla Festa del PD di Brescia a Botticino. Non è tanto l’eurino di per sé, si capisce, piuttosto il definitivo calar le braghe della vecchia scuola della Festa dell’Unità de L’Unità, delle sagre paesane e cloni similari.
Per dirla un po’ enfatica è la fine di un’era.
Poi ci date dei nostalgici, dei vecchi, dei piagnoni, ma come si fa a non rimpiangere quei tempi lontani in cui il fritto misto di gomma non impazzava in tutte (e dico tutte) le sagre italiane, anche se ci si affaccia sulle Dolomiti? [related_posts]
Quando è successo che abbiamo perso la misura e la questione ci è sfuggita di mano? Come è avvenuto il passaggio di testimone dai pomodori con cipolla alla pizza?
Che alle sagre ci fosse sempre qualcosa per cui poter arricciare il naso è un dato di fatto. Ma ci sono stati tempi più spensierati in cui si perdonava la qualità non eccelsa, esattamente come si giustifica il cibo dei matrimoni: non si può mica pretendere ‘sta gran cura quando si cucina la trippa per 400 cristiani.
Poi, oltre alla poca attenzione al gusto, c’è stata la poca attenzione all’igiene.
Fate in fretta voi a dire che alle sagre ci si va per stare insieme e compiere i doveri sociali del far parte di una comunità: perché le mosche sulle crostate di frutta magari non le avete viste, ma poi sulla tazza di notte ci siete stati anche voi.
E ora, mattoncino dopo mattoncino, ci hanno rubato l’anima da sagraioli, fornendoci di un menu con 27 portate diverse, e con l’avvento del cibo etnico dove dovrebbe starci solo la porchetta.
Molto prima che li chiamassimo “social table”, sulle tavolate con panche a rischio collettivo di ribaltamento ha fatto la sua comparsa il resto del mondo: gelati fritti in onore della Cina, cous cous come vezzo terzomondista lavacoscienze, carni argentine che hanno soppiantato i brasati di casa, per arrivare ai giorni nostri e agli hamburger come eccellenza da festa degli alpini 2.0.
Il churrasco brasiliano spopola e la costina di maiale soffre, si moltiplicano le feste texane con scenografia di balle di fieno e piatti bbq-style mentre i nervetti scompaiono dall’orizzonte.
Dove una volta si mangiava il ghiacciolo o il cornetto confezionato, ora fa la sua comparsa il carretto dei gelati in finto stile vintage, e con annessi gusti che sdoganano la simil-gourmetizzazione di massa; si eclissa la birra alla spina e compiono ammontate di santità le 28 luppoli della Poretti, le caraffe di vino da litro vanno in pensione e tutti ormai servono la bottiglia.
Quello che ancora ci conforta, la copertina di Linus della sagra di paese per i masochisti, è che comunque, bianco o rosso, sarà imbevibile.
Berlinguer si rigirerà nella tomba al pensiero di un’hamburger laddove era festa dell’Unità: tutto è perduto, finito, lontano.
[Crediti | Link: Corriere Brescia, Dissapore, immagini: PD/Flickr]