Roma non è Milano. La romanità è un assioma. Invadente e inscalfibile. Il punto è che nel bene o nel male un romano non cambia: probabilmente non si evolve, ma nemmeno si lascia abbindolare facilmente da orpelli, chiacchiere, impiattamenti, barbe e orli altezza polpaccio, con caviglia scoperte e senza calzini.
Prendiamo la nostra ossessione: il cibo. Difficile scavalcare il disincanto e la rusticità capitolina. E la spinta gourmet dell’ultima decade si è inserita bene nella città senza fare troppi danni, anzi ridando lustro alla tradizione. [related_posts]
Può accadere che alcuni pensino che prima di Bonci la pizza a Roma non esisteva, ma generalmente la situazione è sotto controllo.
O era sotto controllo?
Voglio dire, negli ultimi anni, le mie sporadiche trasferte da milanese emigrante (cit.) si stanno riempiendo di angosce e inquietudini. Per esempio mi preoccupo quando vedo:
Indizio #1
GELATI A MINIMO 3 € (IN QUANTITA’ DA DIETA HOLLYWOODIANA)
Va bene il food cost, la naturalità/artigianalità/fighetteria, ma se qualche anno fa da queste parti si derideva Milano e i coni da 2.50 euro (senza panna compresa), perché mi devo imbattere nel Carapina di turno e spendere certe cifre senza che la qualità sia particolarmente indimenticabile?
Intanto Ermanno Di Pomponio abbandona Neve di latte e io non mi sento tanto bene.
Indizio #2
IL GHETTO EBRAICO INVASO DA HAMBURGHERIE AI 2 LATI DELLA STRADA
Tutto rigorosamente kosher ovviamente, ma con design studiati e plasticosi, che fanno tanto nuova apertura tutta comunicazione, pippone sulla filiera, canali social e piastrelle di ceramica della metro di Parigi.
Non ne facciamo un nuovo luna park gastronomico acritico stile Pigneto, vi prego!
Indizio #3
IL LINGUAGGIO PIEGATO AI TEMPI, INCUBO INDOTTO DAL MARKETING
Eccole, anche qui le formule modaiole e retoriche, con abuso di termini come gourmet, km 0, finger food. E tutti i dannati negozi che vendono prodotti senza glutine con nomi come Celiachiamo, CeliaMagic, l’isola celiaca, glutine fottuto.
No, quest’ultimo non esiste. Ma lo apprezzerei di più, avrebbe qualcosa di sotterraneamente romano. La celiachia è una malattia, non una visione del mondo.
Indizio #4
BRUNCH OVUNQUE
Forse è solo colpa di Puntarella Rossa e la situazione non è così fuori controllo, ma il loro post settimanale cumulativo “i migliori brunch a Roma” mi genera sgomento. Ho la sensazione che la capitale sia invasa da un esercito di locali che lo impongano ogni domenica.
Fa niente, poi, che trattasi di buffet e nessuno ne faccia davvero uno che possa rispondere a questo nome.
Indizio # 5
PATATARI COME SE PIOVESSERO
Dopo Napoli e parallelamente a Milano e ad altre città, a Roma, nella città del Trapizzino e della pizza con la mortazza, hanno reinventato le patate fritte. Ovviamente olandesi, ovviamente non surgelate, ovviamente con tante belle salse (spremute con tecnica da porno amatoriale).
Ha troppo poco senso per essere vero, io proprio non riesco ad adeguarmi a questo calvario collettivo. Per una sana restaurazione, ricca, populista e destrorsa, ribelliamoci tutti al grido di “più panini con la porchetta per tutti”.
[Crediti | Link: Dissapore, Puntarella Rossa, immagini: Streatit, Puntarella Rossa]