“Se mangio un piatto che ho fotografato ma nessuno vede la foto che sapore avrà?”
La domanda non sembra avere senso. Ne ha eccome se pensiamo all’imbarazzante successo della foodography, crasi tra food e photography (cibo e fotografie), ossessione soverchiante che spinge le persone fotografare il cibo, PER FORZA, prima di mangiarlo.
La domanda a cui rispondere è perché? Dico a voi, foodfotografi compulsivi, perché? [related_posts]
A Tel Aviv la celebre vineria Carmel Winery e il ristorante Catit più che al perché si sono interessati al chi, come, cosa, dove e quando, e per capitalizzare la tendenza hanno lanciato l’iniziativa chiamata con poca fantasia Foodography, appunto.
Sono reali esperienze “foodografiche”: nel gustare le specialità dello chef Mier Adoni i commensali potranno scattare foto come Instagram comanda, coadiuvati dai piatti da portata realizzati ad hoc dalla ceramista Adi Nissani.
Nulla è lasciato al caso: i piatti sono dotati di uno studiato fondo in ceramica, della base dove posizionare lo smartphone e in alcuni casi di un meccanismo rotante che aiuta a cogliere l’angolazione migliore della portata, mentre si versano salse o condimenti sui piatti.
Certo, tutto questo ha un costo: 140 euro a testa per mangiare e fotografare. O fotografare e mangiare, a seconda delle priorità di ognuno.
Come vedete le frontiere del food porn raggiungono nuove vette. Aspettatevi presto anche in Italia ristoranti, bistrot o perfino bar trasformati in set fotografici, con l’ovvio risultato che tutti copieranno da tutti, e i cuochi alle prime armi che scimmiotteranno Massimo Bottura o lo stile nordico.
Sembrano lontani i tempi in cui una cliente del Momofuku Ko di New York, bramosa di fotografare il famoso foie (fegato) preparato dallo chef David Chang, veniva linciata dal manager del locale appena tirato fuori il cellulare : “prego, se lo rimetta in tasca”.
Ma torniamo alla domanda iniziale: perché?
Il food bombing subìto dai vostri account Facebook, Instagram e Twitter a causa dell’amico che scambia lo smartphone con la forchetta, non è che un’estensione dell’effetto social network sulle nostre pratiche nutrizionali.
Pochi fotografano lo sformato di baccalà e stampano l’immagine per appenderla sulla parete del soggiorno; la tendenza è seminare foodografie in ogni social network come se gli amici sentissero l’urgenza di essere informati della sconvolgente novità: cosa stiamo per mangiare, masticare e digerire.
Ma le ragioni del successo della foodography sono di sicuro anche altre. Esibizionismo? Bisogno di attenzione? Mancanza di affetto? Bisogno di approvazione? Fame? Svelatecele!