Filippo La Mantia sbarca a Milano e raccoglie l’eredità immasticabile della cotoletta “dorata” d’autore (anzi d’autori). Ve lo ricordate il Gold, ristorante gigantesco e pluriaccessoriato di ogni sfarzo targato Dolce e Gabbana? Ecco, proprio qui, a Milano in Piazza Risorgimento lo chef palermitano ricomincia tutto.
Mollata la capitale con il ristorante dell’Hotel Majestic, dove ha sfamato con i suoi capisaldi siculi i signorini di Roma, La Mantia punta più a Nord, direttamente alla conquista della nuova capitale Expo. [related_posts]
Diciamocelo: uscire dagli stereotipi è cosa assai difficile, soprattutto se li hai coltivati e cavalcati per anni. Insomma, se sei chef da dolce vita, e il tuo nome è legato a luculliane feste mangerecce da VIP, difficilmente ti trasformerai in poliedrico cuoco da brunch e merende di mezzo pomeriggio.
Ma lui ci prova nei suoi 1800 metri quadri di ristorante, che sarebbero tanti anche per la cena aziendale di una squadra di calcio con mogli, figli e parenti. Ma potrebbe essere un’idea, non escludiamo di andarci a fare una colazione e trovare le aspiranti veline ancora struccate, ma con occhialone da sole.
Questo non è il solito ristorante (NdR), come ho letto su Living del Corriere della Sera. Qui al Ristorante Filippo La Mantia (ormai era tempo di dare le proprie generalità anche al locale), il guru della caponatina può muoversi tra una caffetteria, un lounge, una veranda, un bar serale, una pasticceria a vista, un’area shopping (sì, avete capito bene: qui potete anche fare dello shopping) e un palcoscenico pensato per esibirsi davanti al suo pubblico osannante, ossia un bancone per lo show cooking.
Disegna tutto Piero Lissoni, talmente bravo da sfuggire al ruolo di archistar come lo pensiamo dopo l’imitazione di Crozza (Lissoni sta disegnando anche il nuovo D’O di Davide Oldani, già socio televisivo di La Mantia nel poco fortunato The Chef).
Ne deriva che gli orari del ristorante-nonsoloristorante sono dilatati e spalmati sull’arco di 16 ore giornaliere (dalle 8 alle 2 di notte).
Non mancano i classiconi della Sicilia da mangiare: dallo street food ormai onnipresente (panelle, arancini di riso, panino con la milza), ai dolci lamantiani (cassata non troppo dolce, cous cous dolce), fino al menu per la cena che è una sorta di esplorazione della Sicilia da carne a pesce, da frittate a pistacchi fino alla caponata ormai diventata un cil per molti.
Sulla carta, in bellissima mostra sorridente, il faccione di Filippo La Mantia con citazione della sua poetica culinaria (mica che poi qualcuno faccia brutta figura non riconoscendolo mentre passa tra i tavoli) e, per ogni foglio di menu la specifica:
“nella mia cucina non è previsto l’uso di aglio e cipolla“.
Che poi è un’altra delle sue battaglie pro alito fresco stra-conosciute.
Dalle 16 alle 18 c’è un deejay che “cucina le note” (si legge nel sito), ma lo spazio web recita anche che Filippo in persona si prenderà cura degli ospiti fino a chiusura:
“Ho la giacca da cuoco e faccio il cuoco, in qualsiasi momento della giornata”.
Sì, ma con 16 ore di lavoro al giorno dobbiamo stare attenti che a La Mantia non venga un esaurimento nervoso.
Insomma, ricapitolando:
— Chi apprezza i sapori solari della terra di Sicilia, qui avrà pane per i propri denti
— Chi ama mescolarsi con qualche faccia nota, qui potrà stare pronto con lo smartphone per immortalare il “famoso” di turno.
— Chi vuole un posto curato e pensato nel minimo dettaglio di arredamento, ci siamo.
— Chi, invece, cercava qualcosa di nuovo nell’ispirazione dello chef… ecco, nulla di fatto.
La Mantia si porta appresso il suo bagaglio arcinoto e non omaggia la Milano da mangiare nemmeno, chessò, con una cotoletta autoctona.
In carta si conta una cotoletta palermitana panata al pistacchio con sorbetto di limone e prezzemolo, ma così non vale.
[Crediti | Link: Dissapore, Europa Quotidiano, immagini: Living Corriere, Maria Vittoria Backaus, Vogue]