Siamo un paese in crisi, ma va? Bar e ristoranti aprono e chiudono veloci. Locali storici tirano giù la serranda dopo trent’anni di attività. Spendiamo meno per mangiare fuori, siamo morigerati e attenti.
E mentre a Roma aprono luoghi il cui format è tutto in uno, tutto il giorno, a Milano per assecondare le nostre paure e farci stare più tranquilli, nascono di colpo ristoranti dove il lusso è bandito, l’opulenza vietata, l’esotismo degli ingredienti proibito. Più sei decapato e low profile, più funzioni.
Nuovi format in cui la parola semplicità è ripetuta come un mantra, dove la cucina è solo “povera”. Caratteristiche ricorrenti: via le tovaglie, sì al recupero dei materiali d’arredo o alla creazione di tavoli e sedie decapati ad arte, tutto sbiancato, di legno naturale, con un richiamo voluto alla semplicità e ai tempi andati.
Sì alla carta riciclata, sì alla tovaglietta di carta da salumeria, sì al pane integrale lievitato naturalmente, porte spalancate al lievito madre, sì e guai se così non fosse al km 0, sì al biologico e all’insalata dell’orto, ovvio sì ai vini biodinamici o naturali, semaforo verde all’abbigliamento casual dei camerieri giovani e belli possibilmente con grembiulino di lino chiaro.
No all’acqua in bottiglia, all’orpello, alle smancerie, no ai piatti elaborati, alle salse, alle pietanze che arrivano da lontano. Quindi addio alla mozzarella di bufala campana per esempio.
Così al ristorante sei a tuo agio e pensi che stai facendo cosa buona e giusta. Poi quando inizi a vederli come una specie di franchising, con un mood ripetuto, seriali nella loro simplicitas, con costante richiamo alla conservazione della coscienza civile, qualche domanda te la fai.
Vado al ristorante finto-povero perché mi piace l’atmosfera, quello che mangio è buono e fatto bene, mi riporta alle origini e mi rassicura. Ma c’è bisogno di fare tutta sta scena? Di tutti questi bio e Km 0 ripetuti ovunque? C’è bisogno del tavolo vecchio, di decapare ogni complemento d’arredo, di togliere le tovaglie per sempre e magari rendere contestualmente il sonoro insopportabile? (Che le stoffe poggiate sopra al tavolo non sono solo estetiche, ma assorbono con mestiere le inutili chiacchiere di noi commensali).
Eccola la mia riflessione, la metto sul piatto, e vi chiedo: anche voi avete bisogno dell’ambiente agreste, la cascina fascinosa, l’orto a vista, l’ambiente understatement, la campanella da suonare per avere più quiete? Solo così vi sentite nel pieno diritto di godere di un buon pasto e spendere il giusto? Così avete la coscienza pulita?
Detto questo, per non lasciare spazio a interpretazioni, ecco tre indirizzi milanesi che seguono, Km più Km meno, questo nuovo format e dove poter mangiare molto bene, spendendo il giusto, con l’animo leggero e la coscienza a posto.
REFETTORIO SIMPLICITAS, via dell’Orso 2 a Milano.
Menù con antipasto, primo, dolce, 1 bicchiere di vino, caffè e acqua a 12 euro. Stesso menù con il secondo 15 euro. Menù completo a 18 euro. Sia a pranzo che a cena, unico nel suo genere in quanto a prezzi e buona la qualità. Alla carta siamo tra i 25 e i 35 euro vini esclusi.
UN POSTO A MILANO, Via Cuccagna 2 a Milano.
Di Un posto a Milano ne abbiamo già parlato. Ottima qualità, anche qui il prezzo medio è tra i 25 e i 35 euro bere escluso.
ERBA BRUSCA, Alzaia Naviglio Pavese 286.
In una vecchia locanda del ‘600 affacciata sul Naviglio, grande dehor, orto a vista e clamorosamente immersi nel verde. Ottima cucina, prezzi dai 25 ai 40 euro bevande escluse.
[Crediti | Link: Dissapore, immagine AT Casa]