Siamo tutti esperti adesso. Vogliamo tendere l’orecchio al ticchettio del timer e allo sfrigolio della padella, soprattutto vogliamo le urla, come se fossimo a Masterchef. Sarà per questo che il tavolo dello chef sta diventando la regola nelle cucine dei ristoranti della guida Michelin.
La table de chef, il tavolo elitario molto vicino o direttamente in cucina, è il modo più (gastro)fanatico di vivere il menu degustazione dello chef: menu a sorpresa, degustazioni da intenditori (dalle 10 alle 12 portate) servizio a cura dello chef e della sua brigata, con spiegazione meticolosa dei piatti.
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Personalmente sono per il vedo e non vedo: temo che l’inevitabile vista su una pila di Tupperware ordinata nel frigo smorzerebbe l’intensità del sortilegio. Mi piace dare spazio alle informazioni sulla texture inaspettata o sul sapore sorprendente che mandano pupille e papille, solo quando assaggio un piatto finito.
Lo chef Enrico Crippa parlando del suo tavolo dello chef nel ristorante Piazza Duomo di Alba, 3 stelle Michelin, ha usato con sincera naturalezza la parola “teatro”.
Dunque il tavolo dello chef prevede una messa in scena, gli ospiti non sono invisibili e gli chef lo sanno. Matt Gillan, chef britannico del ristorante The Pass, nel Sussex, ha detto all’Indipendent che quando qualcuno mangia nel suo tavolo dello chef è vietato usare i timer, mentre i preparativi vengono svolti in anticipo per evitare rumori molesti e odori sgradevoli.
Gli chef italiani la vedono in maniera diversa: niente brusche manomissioni al lavoro della brigata, ma una sorta di campana di vetro in cui piazzare i clienti, pur nel mezzo della cucina. Un tocco di classe che fa passare il tavolo dello chef, dal voyerismo sugli spadellamenti a un sistema per isolarsi dal mondo e concentrarsi solo sui piatti.
Il tavolo dello chef è anche democratico: a dispetto di quello che si potrebbe credere, (pare che) per prenotare non serva appartenere ad alcuna loggia, basta informare il ristorante del desiderio calcolando che le liste d’attesa sono lunghe.
I dati dicono che il tavolo dello chef piace ai cuochi più giovani di stanza al nord: a metterlo in pratica, specie nelle versioni estreme da pochissimi posti, sono gli executive nati negli anni 70, spesso chef e proprietari del loro ristorante. L’identikit del cliente tipo, più che l’imprenditore con ampia capacità di spesa, è quello dell’intenditore un po’ invasato.
La diffusione del tavolo dello chef è comunque un segno dei tempi: l’innegabile informalità imposta da una cena in cucina e la sensazione di esclusività che la accompagna sono la dimostrazione che un muro è ormai caduto, e non sarà più possibile ricostruirlo.
Dunque, quali sono gli chef che vale la pena seguire fino in cucina?
LA NOVITA’: CASA PERBELLINI
Un discorso a parte merita Casa Perbellini, nuova avventura veronese dello chef stellato Giancarlo Perbellini, dove la cucina è molto più che a vista, il cliente siede letteralmente accanto ai cuochi.
Un perfetto sistema di aerazione fa sì che gli odori non disturbino, mentre la piccola brigata riduce al minimo i discorsi per non intralciare le conversazioni ai tavoli.
#3 DEL CAMBIO – TORINO
Da Matteo Baronetto, decennale sous chef di Carlo Cracco ormai sistemato nel ristorante bene di Torino, Del Cambio, sembra di stare al cinema, ci sono anche le poltroncine di velluto rosse. Più che un tavolo è un bancone, cosa che stimola l’atmosfera informale tipo “mi sono seduto qui per caso”, perché uno dei problemi del tavolo dello chef è che l’ospite possa sentirsi imbarazzato.
Il menu va dalle 8 alle 10 12 portate, i piatti vengono decisi dallo chef al momento, il prezzo varia in base alle materie prime (il menu degustazione da 12 portate in sala costa 115 euro).
#2 ANDREA BERTON
Nell’ambientazione rigorosa e vagamente nipponica del Ristorante Berton, il tavolo dello chef, solo per due, sta in una nicchia di legno laccato incastonata nell’imperituro acciaio inox della cucina.
In mezzo ai giochi ma non troppo, permette anche di distrarsi dal lavoro della brigata. Il menu è di circa 10 portate e costa 160 euro (in sala per 10 portate il menu degustazione è a 110 euro).
#1 PIAZZA DUOMO – ALBA
Lo chiamano acquario, perché è circondato da pareti di vetro il tavolo dello chef del Ristorante Piazza Duomo.
All’interno si raggiunge la concentrazione zen di un monaco buddista, o, come più prosaicamente dice lo chef Enrico Crippa: “Non si è distratti dalla visione del bellimbusto lì accanto”.
Ci si sta in due, o in quattro un po’ stretti. Crippa è più contento se si usa il suo tavolo come “approfondimento” e ci si va dopo aver già provato la cucina in sala.
Il menu è di 12 portate, e costa come quello in sala: 220 euro.
[Immagine di copertina: The date report]