Quando noi italiani abbiamo messo il naso fuori dalle cucine di casa e delle nostre città per assaggiare il mondo, di solito abbiamo cominciato da un ristorante cinese.
Data la progressiva diffusione dei locali cinesi e i prezzi molto bassi, ci siamo buttati pieni di entusiasmo nell’esplorazione dei piatti di un paese grande come un continente, finendo per farci il palato su piatti finti, inventati di sana pianta o eseguiti in modo maldestro (il riso alla cantonese, per esempio, che nella versione ammannita agli italiani prevede dadini di prosciutto, laddove in Cina non esiste il prosciutto).
Nel frattempo, incalzati dalla moda del sushi e dei ristoranti dei nemici-rivali giapponesi, gli operosi cinesi sono diventati proprietari della gran parte dei sushi-bar italiani, finendo per proporre un’improbabile cucina meticciata (o fusion) in cui sono eseguiti male e con materie prime scadenti piatti d’ispirazione asiatica che mai e poi mai troverete nei ristoranti dei paesi originari.
Una delle cose più curiose è che noi italiani non pretendiamo dai ristoranti cinesi quello che invece ci pare fondamentale nei nostri ristoranti: materie prime di qualità e di stagione, cotture espresse, prodotti freschi e non in scatola o scongelati. Chi è stato in Cina sa che lì non si trova nessuno dei piatti proposti dai ristoranti cinesi italiani, a parte l’anatra laccata, eseguita però in modo diverso.
E allora come difenderci dalla falsa cucina cinese?
Quando possibile, facendoci consigliare da chi ha vissuto in Cina e ha potuto formarsi un palato se non altro regionale. E, al momento dell’ordinazione, facendo più domande possibile sull’origine delle materie prime e sulle preparazioni. Pungolando i ristoratori a una maggiore trasparenza sui piatti proposti. Per completare la glasnost dei ristoranti cinesi ecco i consigli di Sara Porro.
Bon Wei, via Castelvetro 16/18, Milano. Tel. 02 341308
Il Bon Wei (“Wei” significa gusto in cinese, “Bon” buono in…francese) è forse il miglior ristorante cinese di Milano. L’ambiente, bellissimo, assomiglia alla Cina dei film di Wong Kar-wai: rosso e nero, pannelli laccati, marmo. La cucina è elaborata, la cura delle materie scrupolosa: la semplice insalata di alghe, ad esempio, è croccante e piena di sapore. Menzione d’onore per l’anatra alla pechinese, servita – secondo tradizione – accompagnata da frittelle, cipollotti, salsa di fagioli dolci e verdure. Chef: Zhang Guo Qia. Conto medio: 40/50 Euro.
Celebrità, Via Igino Giordani 53, Roma. Tel. 06 4064005
Il minuscolo Celebrità, situato a Colli Aniene, remota periferia romana, avrà pure un ambiente un po’ appannato – anzi délabré perché la sua decadenza non è priva di grazia – ma la cucina è di livello. La specialità della casa è la barba di drago, spaghetti sottili preparati a mano serviti in un brodo di carne, con un fondo di cottura denso e ristretto e un trito di coriandolo fresco aggiunto alla fine. Nota di merito per i buoni dessert, come le crocchette di riso ripiene di sesamo nero e la sfogliatina con salsa di fagiolini rossi. Chef: Hong Nian. Conto medio: 20/25 Euro.
Green T., Via del Pie’ di Marmo 28, Roma. Tel. 06 6798628
Green T., nel pieno centro di Roma vicino al Pantheon, è uno dei pochi ristoranti etnici in Italia a godere del favore delle guide gastronomiche. La T puntata sta per “Tea”, Tè, e l’amore per la bevanda è testimoniato sia dal menu dedicato sia dall’architettura: il locale, disposto su quattro piani, è diviso in piccole stanze, secondo lo stile delle sale da tè cinesi. A differenza della maggior parte dei ristoranti cinesi in Italia, che fanno cucina cantonese tradizionale, qui si trovano specialità di altre regioni della Cina e alcune proposte creative. chef: Jimmy Yan. Conto medio: 50/60 Euro.
[Crediti | Dalla rubrica “Cibo e Oltre” di Camilla Baresani su Sette, inserto del Corriere della Sera, immagine: Fancy]