Ne sono passati di onigiri sui nostri palati da quando i primi ristoranti giapponesi sono arrivati in Italia. Oggi, vigilia del Giappone National Day che si festeggerà domani ad Expo, è tempo di tracciare un bilancio delle nostre conoscenze papillari nipponiche per poter accedere alla fase numero 3, quella che sancisce il nippo-gourmet avanzato.
Una cosa è certa: se all’inizio (e parliamo di almeno 2 decenni fa) guardavamo con sospetto le bacchette, la massa informe di pasta verde piccante e i rotolini di riso “scotto” ancora sconosciuti, ora nessuno si scompone più per una cena giapponese.
Nella fase uno sushi e sashimi sono entrati a gamba tesa tra le nostre abitudini alimentari, abbiamo rivisto il concetto di piccante sfruttando l’onda lunga del wasabi, abbiamo preso confidenza con le alghe e in generale con l’umami.
Poi è arrivato il ramen, ci siamo iconicamente innamorati del corrispettivo della nostra schiscetta (bento) e oggi siamo pronti alla fase avanzata di jappo-food. In pratica, ci manca solo l’occhio a mandorla. Ecco cosa dovete sapere per conquistare il livello 3.
1. KAMABOKO
Surimi e pesce azzurro mescolati, impastati e colorati: a questo piatto viene solitamente data una forma cilindrica, affettato e impreziosito da motivi ornamentali dati dalla colorazione. Una volta impastato il panetto viene cotto in modo che si solidifichi, e poi affettato e messo nelle zuppe o servito col ramen.
Normalmente il disegno ricorda una spirale in omaggio al Vortice di Naruto. In Italia lo conosciamo principalmente nella sua forma rossa: è il surimi.
2. KUROSU
Si tratta di un particolare aceto ottenuto dalla fermentazione del riso integrale. Ogni mattina il Signor Mitsubishi (che poi è il corrispettivo del Signor Rossi italiano) ne beve un bel bicchierone allungandolo con acqua e rendendolo un po’ più dolce con l’aggiunta di miele o succo di frutta.
Se davvero volete evolvervi al livello pro dovete adeguarvi: e buona colazione a tutti.
3. SAIKYO MISO
Diamo per buono che, se siete arrivati fino a qui sapete già cosa sia il miso (sì, ok vi suona meglio “zuppa di miso”, ma il miso non è la zuppa). Allora, ricapitolando il miso è una crema a base di soia e cereali vari fermentati.
Il Saikyo miso, invece, è traducibile come miso bianco, visto che risulta più chiaro del miso per una maggiore percentuale di riso. E’ dolciastro, pregiatissimo e decisamente costoso.
4. KAISEKI
Se noi abbiamo il menu degustazione, in Giappone c’è il kaiseki. Se avete fatto un giro nei ristoranti del Padiglione Giappone vi sarete imbattuti nel menu scarno eppure molto costoso del ristorante Minokichi, uno tra i più antichi templi della ristorazione nipponica (since 1716, non so se mi spiego).
Ecco, qui troverete il kaiseki, un pasto tradizionale che annovera diverse portate.
A differenza del nostro menu degustazione, che dovrebbe essere un crescendo di gusti e sapori, qui le portate vengono servite in sequenza, ma non sempre rispettando la regola del “sapore crescente”. Curatissimo nei particolari, costa tantissimo in patria e fuori.
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5. NABEMONO
Per facilitare il compito lo paragonerò alla “nostra” fondue chinoise. Il nabemono non è una ricetta, ma una sorta di pasto sociale che prevede la partecipazione dei commensali seduti allo stesso tavolo. In Giappone è tipico di locali alla mano (le nostre osterie, per tornare agli esempi), che forniscono ad ogni tavolo un fornelletto e una pentola di argilla.
All’interno si trova il brodo dashi in cui vengono cotti gli elementi crudi serviti (carne, pesce, verdure). E poi anche loro, alla fine, si bevono il brodo concentrato.
Certo, non sarebbe finita qui, ma abbiamo almeno iniziato. Siete pronti per il primo esame del master?