Sacrificarsi è anche cucinare un piatto sapendo fin dall’inizio di non poterlo mangiare. Un’esperienza che ti segna. A causa di sgradevoli coincidenze e moti astrali, c’è che stavolta oltre all’agnello mi immolo anch’io. Provate a immaginare Hannibal Lecter con la sfiga di Oliver Twist ed avrete un quadro (quasi) completo della situazione.
Che toglie i peccati dal forno.
Scotto più di un forno olandese, ho tracce di sangue nell’amoxicillina e non saprò mai che sapore ha questo benedetto agnello. Cerco complicità nello sguardo di mia madre ma leggo nella sua mente a caratteri cubitali: “Ce-n’è-di-più-per-noi”.
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Il consumo di carne nasce con l’essere umano, manco il tempo di scoprire il fuoco ed era già tutto un rosolare di cosce e costine. Ma il cibarsi di esemplari giovani, ovini in questo caso, si assocerà col passare dei secoli alle festività, quelle pasquali in particolare. Mangiare un animale “utile” era considerato un lusso dopotutto.
Uno dei ricettari più antichi ed affascinanti è senza dubbio il “De Re Coquinaria” attribuito ad Apicio (terminato nel IV secolo d.C.) che nel libro ottavo dedicato alla cottura dei quadrupedi mi suggerisce: “Quando lo avrai cotto nella salsa (una sfilza di erbette condite con miele, aceto uva passa ed altre amenità) e nell’olio, dopo averlo inciso mettilo in infusione con pepe, laserpizio (eh?), la salsa, poco olio. Lo farai arrostire in gratella e lo bagnerai con lo stesso condimento.Lo cospargerai di pepe e lo porterai in tavola.”
Anche lui ha captato che il piatto non è per me.
Vado avanti nelle ricerche e mi imbatto in quel marasma di ricette regionali che costellano lo stivale. Si va dall’agnello cacio e ova abruzzese, da quello pilottato alla toscana e alla maniera romana ( che non è l’abbacchio). Con i carciofi, il limone o la menta, l’Italia unita nel segno della mattanza.
Poi ci sono gli chef e i loro guizzi gigioni, tipo Massimo Bottura che in questo video sembra particolarmente allegro. Ostriche ed agnello per omaggiare la Normandia da una parte e l’agnello affumicato dello chef Niko Romito dall’altra. Nel secondo filmato un tintinnìo di campanelle che accompagna il sezionamento delle carni, nella mente l’immagine di Trilly ( la fatina ) con la maschera di Jason.
Per andare sul sicuro scelgo un classicone, agnello al forno con patate, ma bardato con delle fette di pancetta. E qui il livello di autolesionismo si alza vertiginosamente.
La ricetta perfetta.
1 cosciotto di agnello da 1,3 kg
6 spicchi d’aglio
4/5 rametti di rosmarino fresco
qualche fogliolina di salvia
200 g di pancetta tesa
1 bicchiere e mezzo di vino bianco secco
1,5 kg di patate a pasta gialla
olio extravergine di oliva
pepe q.b.
Prima di iniziare massaggio il cosciotto con un velo di olio extravergine di oliva e un battuto di aglio (2 spicchi) salvia e rosmarino. Questo mi riporta ai pomeriggi nella taverna di nonna, quando si curavano le carni del maiale appena ammazzato. Un’infanzia truculenta penserete voi, meravigliosa vi dico io.
Lascio riposare il cosciotto luccicante ed unticcio per un’oretta.
Preriscaldo il forno a 160°, che è più o meno la mia temperatura corporea.
Afferro una casseruola bella ampia e faccio rosolare la carne su tutti i lati, giusto il tempo di innescare certe reazioni e conferirgli la tipica nota di arrosto.
Tolgo dal fuoco, lascio freddare per qualche minuto e ricopro con delle fettine di pancetta tutte intorno. Lego con lo spago ben stretto, ci provo almeno. Rimetto nella casseruola il cosciotto bardato e do inizio alla cottura.
Nel frattempo taglio le patate a spicchi molto grossi e le faccio sbollentare in acqua leggermente salata per una decina di minuti.
Apro lo sportellone e inizio a sfumare l’agnello con il vino bianco.
Aggiungo alle patate un po’ d’olio e di erbette e metto in forno anche loro, adagiandole tutte intorno alla carne. Bagno ogni tanto con il sughetto che si è creato in cottura e aspetto che la temperatura del coscio raggiunga i 58° al cuore ( la temperatura ideale oscilla tra i 57° ed i 75°). Il termometro l’avete comprato, sì?
Ci son voluti 50 minuti in tutto, nei 5 minuti finali ho azionato il grill.
Faccio intiepidire leggermente a forno spento con lo sportello aperto e servo in tavola. Ne assaggio un pezzo molto piccolo, leggermente rosato all’interno, con una nota di pancetta che ha il retrogusto del paradiso.
Dicono che l’invidia divori chi lo nutre. Mangiano tutti tranne me in pratica.