Lo dico subito, così nessuno avrà dubbi: al pranzo dell’altro giorno al Priceless (si poteva forse chiamare diversamente il temporary restaurant di Mastercard a Milano?) io NON ho pagato.
Perché è vero che ci sono cose che non hanno prezzo (la terrazza che domina Piazza della Scala, ma anche godersi l’aria condizionata dopo quell’ultima rampa di scale assassina), è vero che per tutto il resto c’é la nota carta di credito, ma è anche vero che con le vacanze alle porte non avrei potuto spendere 250 euro per un pranzo “infrasettimanale”.
Vi sconvolge? E cosa vi sconvolge? Il fatto che non abbia pagato o il fatto che costi 250 euro?
Prima di imbroccare la tastiera imbufaliti dallo schiaffo gastronomico alla povertà, o contro gli sporadici privilegi di un tesserino da giornalista, vi prego di contare fino a 50 (così intanto vi fate un’idea dell’accaduto).
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Convocazione un po’ alla Filini alle 12,30 con il sole a picco: eleganti hostess con tubini neri in poliestere (quanta sofferenza per loro) e tacchi vertiginosi ti accompagnano sull’ascensore e poi ti fanno strada nell’ultima assolata e diabolica (l’ho già detto forse?) rampa di scale.
Comunque ne vale la pena: la vista è davvero “priceless” sulla piazza, e poi là in fondo ci sono pure le guglie del Duomo (si vedono meglio da Spazio Romito, ma è solo per fare i precisini).
Qui in cima hanno messo in piedi una terrazza coperta che su tre lati ha solo vetro, e un lato in particolare potrebbe generare attacchi di panico a chi soffre di vertigini. Io no, io sono coraggiosa e avvicino il mio piede al bordo, ma resto a distanza di sicurezza.
Mi ricorda una giostra adrenalinica di Gardaland, ma più patinata ed elegante, e al posto di quelli che ti allacciano le cinture stritolandoti la pancia ci sono dei ragazzi in cravattino sempre sull’attenti.
Per tutta la durata di Expo, nella cucina del Priceless si scambiano il testimone gli chef emergenti della JRE, e oggi a cucinare c’è Cristian Milone, allievo di Enrico Crippa (Piazza Duomo di Alba).
Un piemontese con accenno di crestino in testa e alle spalle la trattoria (di famiglia) Zappatori e un sacco di incenso sul web.
Dopo l’aperitivo, è ora di fare sul serio: il giornalista è uno che ha fretta, che deve ottimizzare, che deve scappare. Figuratevi se la sala ne è piena.
Ed è a questo punto che lo spazio vuoto dentro al “gabbiotto” di vetro si riempie. Dal soffitto scende il tavolo (già apparecchiato): qui non è Gardaland, qui è meglio di Gardaland!
Prima portata: carne cruda (naturalmente piemontese), maionese all’acqua e senape, polveri e foglie.
(Sì, buona).
Nel frattempo il quarto lato del cubo di vetro si apre e si possono vedere chef e brigata all’opera in tempo reale.
Seconda portata e prima illuminazione: Tajarin di zucchine crude, brodo di bollito 30 e altre essenze di frutti, radici e piante aromatiche. Fino a qui tutto bene, il piatto non è stato tra i miei preferiti, ma lo chef ha pronunciato una parola magica, per me: ciclismo.
Dice che questo piatto è ispirato alla sua “vita precedente”, quella sui pedali.
(Scusate, fatemelo dire: sono una di quelle che non legge le trame dei film prima di andarli a vedere, e lo stesso vale per le biografie degli cuochi che a volte sono poco interessanti, quindi non sapevo di questo chef Milone ex ciclista. Nutro anche una vecchia e mai sopita passione per il ciclismo e da ragazzina i miei primi flirt erano giovani promesse del ciclismo di provincia).
Detto questo immaginate i miei occhi a cuore quando nel piatto, o meglio nel brodo (realizzato con 30 erbe e radici e aromi…) ho sentito il profumo della canfora. Lo stesso profumo dei massaggi agli atleti dai polpacci di ferro. Amore puro.
Terza portata: plin con olio d’oliva e Grana Padano 24 mesi (elogio della semplicità, perché “il sugo coprirebbe troppo”).
Sono una favola, davvero, sembrano un concentrato di concentrato di plin.
Quarta portata e seconda illuminazione: pezzo di carne alla griglia, cipolle in carpione alla lavanda, patate schiacciate al basilico e fondo al vino rosso. Il “pezzo di carne” (sottofiletto) appartiene a una vacca vecchia (la chiama così Milone) che per i primi anni era una vacca da latte, poi è stata lasciata al pascolo fino a compiere 12 anni.
Questo è quello che, credo, si possa chiamare etica carnivora.
E il risultato (complice la cipolla davvero notevole) è sorprendente, almeno per me che non credo di aver mai reso omaggio a tavola all’anzianità di una vacca. Non è un caso se è stato il piatto più bersagliato dai flash degli smartphone in sala.
Pre-dessert: acqua panna cotta (una panna cotta fatta senza panna ma con l’olio di nocciola e il caramello).
Questa non l’ho capita tanto.
Dessert: gelato al miele e tartufo bianco, terra al malto e sale, nocciola e salsa al cioccolato bianco. Sembra fatto per me, che non sono proprio da dolci troppo dolci e amo il tartufo.
Concludendo: il fatto è che, inaspettatamente, mi sono divertita a un pranzo stampa (non sempre i colleghi sono proprio dei simpaticoni): stavolta invece ho visto anche qualcuno che sorrideva. E ho mangiato bene. E non ho pagato, ma un po’ ne sarebbe valsa la pena.
Forse 250 è tanto, è vero, ma tenete conto che abbiamo bevuto bene, abbiamo ricevuto un sacchettino con piccola pasticceria da portare a casa (anche se mi si è sciolta prima della metropolitana), e anche che non vedrò mai più nella vita la piazza della Scala da quel punto di vista.
Tutto è un punto di vista.
Tranne il 15 del mese quando arriva il saldo della carta. E tranne Pantani che per me sarà sempre un mito intoccabile, più di tutti gli chef messi insieme.