Una ristoratrice milanese ha esorcizzato la recensione di Valerio M. Visintin scrivendo a caldo questo post.
Una minaccia oscura che si aggira negli incubi di ogni ristoratore: la visita di Valerio M. Visintin e la conseguente apparizione sul Corriere della Sera o sul suo blog Mangiare a Milano è il terrore di ognuno di noi. È la spada di Damocle sopra la nostra testa, è il pensiero fisso mentre ti aggiri nel locale, prendi le ordinazioni, stappi le bottiglie e porti i piatti al tavolo. Quante volte ti viene il dubbio, il timore: oddio, potrebbe essere Lui. Oddio, potrei fare la fine di quell’altro, uscito a pezzi dalla penna dell’uomo nero.
Ebbene, cari colleghi ristoratori milanesi, intanto vi confido che ho avuto un’occasione forse unica eppure l’ho persa. Per una serie di circostanze (legate principalmente a un cambio di menu), sono riuscita a identificare con precisione gli unici due giorni in cui la recente visita di Visintin è stata possibile. Ovviamente ho scoperto solo qualche giorno dopo, leggendo un trafiletto sul Corriere, che è stato da noi: potete immaginare quante volte ho ripercorso mentalmente ogni singolo momento dei due giorni, cercando di ricordare i volti, gli episodi, gli sguardi, i saluti nel vano tentativo di identificare Lui.
Ho sfogliato tutte le ricevute fiscali, le comande in cucina e ho maledetto, circa ottantaquattro volte, il momento in cui non ho accettato il preventivo per il nuovo sistema di videosorveglianza. Almeno, avrei potuto riguardare le immagini. Ma nulla, proprio non ce la faccio, non ho nemmeno un appiglio, Visintin anche stavolta mi è sfuggito.
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Ma veniamo al dunque: riapro il ristorante dopo le ferie (ferie per modo di dire: abbiamo approfittato per ristrutturare i locali, quindi lavorare, ma tant’è) con ben due giorni di anticipo sulla tabella di marcia e parto con un menu nuovo di zecca. Tutto questo, senza neanche aver avuto il tempo di comunicarlo, nemmeno sul nostro sito. Passa giusto qualche giorno e mi arriva un sms: siete sul Corriere, recensione di Valerio M. Visintin. Intanto, a priori, quando arriva una notizia simile ogni ristoratore inizia a grondare sudore, fruga nervosamente nelle proprie tasche per controllare se ha dietro il Maalox, oppure si fa un doppio whiskey, direttamente. Dopodichè, corre in edicola ad acquistarne una copia.
Già nel tragitto verso l’edicola mi stavo tranquillizzando: abbiamo appena riaperto, non ha ancora fatto in tempo a venire. Sarà solo un trafiletto d’archivio, un copia e incolla di una visita precedente: del resto, da quattro anni segnalavo via email alla redazione, allegando il menu attuale, che citavano piatti non più in carta, ma niente… loro imperterriti continuavano a farlo. Aquistata una copia del giornale, cerco il trafiletto che ci riguarda, e con non poca apprensione faccio il gioco della pagella: copro tutto e leggo il pezzo scoprendo una parola per volta.
Ordunque, cominciamo dal titolo. “Stinco e risotto nella vecchia osteria” – ah perbacco, c’è un errore. Non parla mica di noi. Ho sbagliato recensione, evidentemente. Guardo in fondo all’articolo per scoprire di chi sarà mai questa vecchia osteria e mi prende un colpo… (il primo di una lunga serie!): appare proprio il nome del nostro ristorante. Vecchia osteria? Vecchia?!? Ma se abbiamo appena riaperto dopo una ristrutturazione completa, non mi sono ancora ripresa da mesi di preventivi, progetti, incontri, scelta delle piastrelle, la mazzetta colori, l’idraulico, l’elettricista, lo specchio, il water, le telefonate durante gli unici tre giorni di vacanza sul battiscopa che non si incastra, il fornitore che non si fa trovare, il falegname che è in ritardo e poi è in anticipo…
Insomma un lavoro di sei mesi tra tutto, in cui il povero ristoratore deve diventare un po’ architetto, un po’ capocantiere, manca solo che faccia il minatore, e nel tempo libero manda pure avanti il ristorante. Poi quando è tutto finito, cosa succede? Finalmente si rilassa, si guarda intorno soddisfatto e compiaciuto, stappa una bottiglia e brinda, si illude di vedere a breve orde di clienti che invadendo il suo (rinnovato!) ristorante magari esclamano: “che bello, tutto nuovo!”. Ma è, appunto, un’illusione perchè il povero ristoratore non fa in tempo ad aprire la cler che arriva Visintin, in tempo reale, e gli dice: vecchia. Vecchia! Sei una vecchia osteria, ecco cosa sei. Con una singola parola il temuto uomo nero mi azzera le speranze e le fatiche di un’intera stagione. Vabbeh, cominciamo bene, ma andiamo avanti.
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La recensione esordisce così: “Un posto complessivamente consigliabile” – e qui tiro un enorme sospiro di sollievo, perché quanto meno è chiaro che non si tratta di una stroncatura, e con questo siamo già ben oltre alla metà dell’opera, ma l’istante successivo più di un brivido percorre la mia schiena per quella parola di troppo… “complessivamente”. Aiuto, siamo già in odore di guai.
“L’accoglienza è curata dal bel volto fiero…” (a questo punto apro il frigorifero di casa per vedere se lo champagne è abbastanza fresco e pronto da stappare) “…e i modi freddamente formali della padrona di casa, Tunde” (sul “freddamente formali” rimetto lo champagne al suo posto, su “Tunde” il freddo diventa gelo polare e chiudo il frigorifero). Ma dico io, almeno la delicatezza di omettere il nome – che tra l’altro, curiosità, pochissimi conoscono – così, potevo almeno scagliarmi rabbiosamente contro un dipendente. Gli avrei potuto dire: ma come, in barba a tutti i comunicati stampa dove abbiamo scritto “accoglienza calorosa” e “ambiente informale”, tu mi formalizzi freddamente proprio con Visintin?
Invece no, nulla da fare, diamine, parla proprio di me medesima, cosa faccio adesso, harakiri direttamente o un giro di roulette russa? Anni di vita passati ad accogliere con gentilezza e calore tutti gli ospiti, sorridere senza sosta, domandare con sincera curiosità e premura se tutto procede bene, e chiedersi scrutando il volto di ogni uomo sulla cinquantina (l’ha dichiarato lui) con qualche capello in meno che in gioventù (l’ha dichiarato lui) se poteva essere Visintin.
In caso di risposta affermativa occorre procedere come segue: ampliare ancora il sorriso e ossequiare, prendergli il cappotto e appenderlo (che lui come è noto i cappotti sulla sedia non li sopporta), chiedere alla cucina una dose extra delle polpettine di benvenuto (e quando ti rispondono con occhi sgranati “sono mesi che non le facciamo più…” controbatti “non mi importa, ora me ne fate una tonnellata e all’istante! È un ordine!”). In ultimo, iniziare a progettare mentalmente dove esattamente posizionare un bel tavolo rotondo nella sala del tuo ristorante, perché hai letto che alla signora Visintin piace così, per le cene in compagnia di amici. Anni di vita a riempire di polpettine e sorrisi extra tutti gli uomini sulla cinquantina (con il senno di poi, evidentemente, innocenti…) e poi con l’unico vero Visintin sbaglio tutto e faccio la figura della freddamente formale.
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A questo punto della faccenda, inizio a pensare che la mia vita è un fallimento, prendo in considerazione l’ipotesi di trasferirmi su un altro continente, aprire un bar su qualche spiaggia tropicale e non fare nemmeno un sito internet, non sia mai Visintin mi trovi. Forza, avanti, che siamo ancora solo a metà del breve articolo: chissà cosa ci aspetta dopo. Dunque, così parla Visintin: “Quanto alla cucina, difetta di profondità. Percorre terreni consolatori, rinunciando per principio a sfumature e accentazioni di carattere personale: filetto di baccalà al vapore, gnocchetti di zucca con crema di taleggio (è una fonduta, Visintin, accipicchia!), risotto allo zafferano con cipollotto e midollo, filetti, fiorentina, stinco d’agnello.”
Ecco qua, ora lo becco, finalmente. Seppur sia corretto descrivere i piatti nel menu, per dare un’informazione completa ai lettori debbo chiedere l’appello al Pubblico Ministero Visintin, poiché alcuni non erano ancora disponibili. Dunque, caro Visintin, Le devo strappare la promessa di tornare per provare i piatti illustrati. Di certo quando abbiamo messo in carta il baccalà e lo stinco di agnello l’obiettivo non era stabilire alcun primato di originalità: la differenza la fanno la scelta della materia prima e l’esecuzione del piatto, che si giudicano solo dopo averlo provato. Su questo, quindi, avrei voluto avere un suo parere sincero, se torna le prometto di non installare telecamere da domani.
Dopodichè, informazioni sul prezzo e dati dell’attività a parte, il pezzettino è sostanzialmente finito, siamo tutto sommato salvi anche se abbiamo riportato qualche livido e ammaccattura, ma i “terreni consolatori” ci hanno rassicurato e ci riprenderemo. A dire il vero c’era qualche altra parole sucui ho sorvolato, prima di tutte “sussiego”, leggendo la quale ho avuto un sussulto ma poi mi sono subito tranquillizzata. Per capirne il significato, infatti, molti dovrebbero googlare, ma essendo sul cartaceo, ce la siamo scampata.
Meno male che Visintin è uomo e scrittore colto e raffinato.
[Crediti | Link: Mangiare a Milano. Immagine: Deviant Art]